L’amore ai tempi del web. Uno studio degli psicoterapeuti Cantelmi e Carpino mette in guardia dalle nuove cyberdipendenze
Cosa ne sarà delle attese, delle dichiarazioni, delle perplessità, dei litigi, delle riconciliazioni, del mistero dell'amore quando tutto ciò viene già mediato e guidato dalla nuova realtà digitale?
“E se fosse la spiritualità a portare l’uomo moderno verso una nuova ultramodernità?”
Tonino Cantelmi e Valeria Carpino sono due psicoterapeuti che di modernità ai tempi del web se ne intendono, visto che il primo insegna Cyberpsicologia all’Università Europea di Roma e la seconda è un’esperta di terapia cognitivo-interpersonale, e che, sempre insieme, avevano già approfondito queste problematiche con il volume “Tradimento on line” (2005). Il loro recente lavoro, “Amore tecnoliquido” (FrancoAngeli, 2020, 168 pagine, 23 euro) avrebbe potuto benissimo intitolarsi “l’amore al tempo del web 2020”. Cantelmi e Carpino pongono infatti da tempo la drammatica questione di cosa sarà della psiche e delle profondità umane a contatto sempre più simbiotico con l’intelligenza artificiale, e in questo caso approfondiscono un elemento basilare nella storia dell’uomo: l’amore. Cosa ne sarà delle attese, delle dichiarazioni, delle perplessità, dei litigi, delle riconciliazioni, quando tutto ciò viene già mediato e guidato dalla nuova realtà digitale? Come aveva capito papa Francesco, qui citato, “non viviamo in un’epoca di cambiamento, viviamo un cambiamento d’epoca”: il che significa che anche le dimensioni che sembravano intoccabili dalla terza rivoluzione sono rimesse in gioco, e pesantemente. Si tratta infatti di un discorso di strutture, e non più di sovrastrutture analogiche: l’amore è cambiato, eccome, solo che non abbiamo fatto in tempo ad accorgercene perché sottili mediazioni promozionali hanno nascosto la brevità del passaggio.
Intanto, notano gli autori, l’elemento della sessualità ha preso il predominio su quello della costruttività. Sono qui riportati tutti i siti che stanno mediando incontri amorosi, amicali, sessuali attraverso procedure più o meno complesse, e che però rischiano di essere un passo indietro rispetto a quella che possiamo chiamare ancora realtà primaria. Perfino un ingegnere elettronico, esperto di navigazioni web, qui intervistato, deve arrendersi di fronte all’evidenza: “poi vedi persone che mettono fotografie di dieci anni prima, quando le ho incontrate non riuscivo a guardarle in faccia”. Il fatto è che antiche dipendenze, come quelle dalle droghe o dall’alcool, non sono tramontate con una ipotetica liberazione dell’uomo da vincoli, superstizioni, paure: si sono convertite in dipendenze più pericolose, come mette bene in rilievo questo aggiornato e coraggioso libro. Che non va contro il cyber-universo, ma il suo uso. Non è una dipendenza legata solo alla compulsività digitale, ma ha anche una dimensione sessuale, perché “la pornografia induce mutazioni nel cervello simili a quelle causate da sostanze stupefacenti o alcool”. Una “liberazione” un po’ scarsa, quella tanto sbandierata, anzi, diciamocelo, più schiavizzante rispetto ai meno scenografici sentimenti, siano essi religiosi o affettivi. Perfino la letteratura più trasgressiva, meno sospetta di nostalgie religiose o familiari, come quella di Michel Houllebecq, ci aveva da tempo messo in guardia: in un suo romanzo, “Le particelle elementari”, sesso libero e amoralità accentuano la solitudine e costringono a dipendenze ben peggiori. E non è un caso che uno dei due protagonisti, uno scienziato, sparisca per sempre, lasciando il sospetto che se ne sia andato in un monastero tibetano, mentre il fratellastro deve disintossicarsi da una inflazione di sessualità -e di pseudo-libertà- che lo ha portato alla nausea di sé.
Hanno ragione gli autori: forse la buona vecchia spiritualità ci salverà. Come la bellezza di Dostoevskij.