Intelligenza artificiale: il compagno “secchione”. Come i giovani tendono a servirsi delle potenzialità dell’AI

Il vero antidoto agli inganni del web è lo sviluppo del pensiero critico che può essere incoraggiato e insegnato sui banchi scolastici

Intelligenza artificiale: il compagno “secchione”. Come i giovani tendono a servirsi delle potenzialità dell’AI

In occasione del Safer Internet Day – la Giornata mondiale per la sicurezza in Rete, istituita già da qualche anno dalla Commissione Europea e celebrata lo scorso 6 febbraio in contemporanea in oltre 100 nazioni -, la piattaforma Generazioni connesse, in collaborazione con Skuola.net, l’Università degli Studi di Firenze e l’Università La Sapienza di Roma-Cirmpa, ha presentato una ricerca sul binomio “intelligenza artificiale” (AI) e “adolescenti”. Il tema, tra l’altro, era uno dei cinque punti (adescamento, privacy e diritto d’immagine; metaverso; Bes e tecnologie applicate; AI e mestieri del futuro; gaming) al centro dei dibattiti della giornata formativa e di prevenzione.

Dall’indagine emerge che due adolescenti su tre utilizzano applicazioni basate sull’intelligenza artificiale “generativa”, ossia quella in grado di creare online, in autonomia, contenuti di ogni tipo – scritti, immagini, audio, ecc – partendo da semplici input da parte dell’utente.

Ma in quale modo i giovani tendono a servirsi delle potenzialità dell’AI?

In realtà, le nuove generazioni sarebbero propense a far lavorare la tecnologia al posto loro. C’è un testo, un riassunto, una relazione o una ricerca da produrre? Perché affannarsi a pianificare il compito, a cercare le idee e a scrivere? Con l’AI i tempi di esecuzione del lavoro a casa (e qualche volta “clandestinamente” anche in classe) si accorciano notevolmente, soprattutto ci si risparmia la “fatica di pensare”. Insomma, l’AI rischia di trasformarsi banalmente nel virtuale “compagno di banco secchione” da cui copiare.

E quindi? Come intervenire a livello educativo? La domanda è urgente, perché se da un lato la capacità di utilizzare proficuamente le nuove tecnologie è una competenze chiave ineludibile per il futuro, dall’altro i problemi concreti di gestione di questi strumenti restano ancora insoluti.

I percorsi di educazione all’uso consapevole dei nuovi prodotti digitali avviati all’interno delle istituzioni scolastiche sono al momento solo parzialmente incisivi ed efficaci. I rischi insiti in un utilizzo sbilanciato e incosciente di questi strumenti restano, invece, piuttosto elevati. Lo spauracchio che più si agita è quello della privacy e della diffusione inconsapevole dei propri dati, seguito dalla possibile che i giovani contribuiscano alla diffusione di notizie fake e volutamente fuorvianti. Approcciarsi all’AI richiede una capacità di discernimento che, purtroppo, la stragrande maggioranza dei giovani utenti non possiede: ad esempio, appena il 27% degli intervistati dice di conoscere il funzionamento del “deep learning” generativo (cioè il metodo che insegna ai computer a elaborare dati, ispirandosi al funzionamento del cervello umano) e di saperlo illustrare perlomeno a grandi linee.

Per non parlare, poi, del tempo che questi strumenti così seduttivi sottraggono ai giovani, spesso in maniera improduttiva. Per il 40% di essi l’utilizzo degli strumenti digitali si attesta dalle cinque ore al giorno in su. D’altronde fortissimo è il potere di appeal esercitato dagli algoritmi che sono in grado di fornire all’utente prodotti confezionati in base al suo gusto e alle sue abitudini.

È illusorio comunque pensare che i percorsi formativi ed educativi all’uso consapevole degli strumenti digitali potranno stabilire un equilibrio stabile tra intelligenza umana e AI. Ciò che al momento è ancora carente è un’attenta cura ai processi cognitivi e rielaborativi della mente umana. In questo la scuola potrebbe essere fondamentale, ma dovrebbe staccarsi in maniera definitiva dai modelli di apprendimento mnemonici e nozionistici, soprattutto da una impostazione ancora troppo finalizzata alla valutazione più che al piacere dell’apprendimento.

Il vero antidoto agli inganni del web è lo sviluppo del pensiero critico che può essere incoraggiato e insegnato sui banchi scolastici, ma non attraverso una didatticamente puramente trasmissiva. Occorrono metodologie laboratoriali, maggiore fiducia e coinvolgimento dei giovani, serve aprire una strada alla “contaminazione” tra il vecchio sapere e il nuovo, cercando di porre le condizioni per un equilibrio fecondo. Soltanto con queste promesse la tecnologia e l’AI potrà diventare realmente “alleata” dell’uomo e contribuire a un ulteriore sviluppo evolutivo della civiltà umana.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Sir