Il rilancio del lavoro agricolo. La pandemia spinge ad una rivalutazione dell’attività agricola
Le imprese agricole si sono ritrovate ad avere necessità di manodopera agricola e la raffica di chiusure ha messo in crisi decine e decine di migliaia di lavoratori.
Non è un ritorno ai campi. E’ un fatto però, che l’agricoltura possa, in questo periodo difficile, offrire non solo cibo ma anche lavoro. Una situazione che, fino a poche settimane fa, poteva apparire paradossale, e che adesso è invece più che reale, tanto da suscitare iniziative e aspettative importanti.
Tutto nasce dall’incontro di esigenze diverse. Da un lato, le imprese agricole si sono ritrovate improvvisamente ad avere necessità di manodopera agricola per soddisfare il bisogno di braccia per l’avvio di una serie imponente di operazioni di raccolta e per la preparazione dei terreni per le semine e gli impianti successivi. Una condizione, quella della necessità di lavoratori a tempo determinato, che è comune fra l’altro anche ad una buona parte delle cooperazione e dell’industria agroalimentare, messe alle corde dalla mancanza dei flussi d’oltre confine. Dall’altro lato, la raffica di chiusure negli altri comparti, ha messo in crisi, anche qui quasi da un giorno all’altro, decine e decine di migliaia di lavoratori costretti a fare i conti con tagli dei redditi anche pesanti. Tutto poi è avvenuto nel bel mezzo della constatazione della rigidità delle norme che regolano l’attuale mercato del lavoro.
Per capire meglio cosa è accaduto, basta sapere che, secondo i calcoli della Coldiretti, in marzo è andato perso circa mezzo milione di giornate di lavoro (probabilmente in aprile la situazione non è migliorata). Una situazione che molti hanno definito “drammatica” e che ha spinto a chiedere forti semplificazioni dei meccanismi di assunzione, oltre che l’allargamento della possibilità di lavorare in agricoltura anche a categorie fino ad oggi quasi escluse. In attesa di regole più flessibili, però, gli agricoltori non sono certo restati con le mani in mano.
E’ nato così in pochi giorni Jobincountry un portale web di Coldiretti che in modo semplice e rapido mette in collegamento la domanda e l’offerta di lavoro in agricoltura. In pochi passaggi, infatti, chi cerca lavoro inserisce i propri dati e chi offre possibilità di impiego fa altrettanto; le sedi locali dell’organizzazione agricola si occupano quindi di coordinare “sul campo” i contatti. Funzionamenti simili hanno anche AgriJob di Confagricoltura e “Lavora con agricoltori Italiani” di Cia-Agricoltori Italiani.
Il successo di queste piattaforme virtuali di incontro tra domanda e offerta di lavoro è stato immediato. Solo in Veneto (dove Jobincountry è stato sperimentato inizialmente), le domande raccolte in poche ore sono arrivate a diverse migliaia. E in fila per andare a lavorare nei campi e nelle stalle italiane (anche solo per brevi periodi), pare vi siano non solo giovani e studenti, ma anche professionisti, operai, cassa integrati, impiegati.
Siamo di fronte ad un cambio nel mercato del lavoro e nei paradigmi di carriera degli italiani? Ci si avvicina ad una sorta di controesodo come quello che, negli anni ’50, portò dalle campagne alle città, dall’agricoltura all’industria qualcosa come 2,5 milioni di lavoratori? Probabilmente non è così. Industria e servizi continueranno a rappresentare occasioni di occupazione importanti e preponderanti. E non potrebbe che essere così: dagli anni ’50 e ’60 ad oggi, infatti, troppo è cambiato (per fortuna) in termini di tecnologie e tecniche applicate nella produzione agroalimentare. Ma rimane comunque l’indicazione di un’attenzione diversa e più alta di prima verso un lavoro, quello dei campi, per molto tempo troppo disprezzato.