Da soli, in coro. L'avventura online dei 74 componenti del Coro del liceo Pascoli di Bolzano
È la metà di marzo quando, nelle stanze dei ragazzi del coro del Pascoli iniziano a risuonare le note di “Baba Yetu”.
A gennaio avevano cominciato a studiare le parti. Di lì a sei mesi sarebbero dovuti salire sul palco per eseguire – insieme all’orchestra del Conservatorio Monteverdi e ai compagni del liceo di lingua tedesca Walther von der Vogelweide – la Nona Sinfonia di Beethoven. E avrebbero concluso l’anno scolastico sulle note dell’”Inno alla gioia”. L’attesa e l’emozione tra i 74 componenti del Coro del liceo Pascoli di Bolzano (indirizzo musicale) erano grandi. Perché anche se hai tra i 14 e i 18 anni e nella tua playlist trovano spazio solamente le hit inglesi del momento, Beethoven è pur sempre Beethoven. Non c’è storia.
Poi è arrivato il Dpcm dell’8 marzo e il lockdown. E il sipario è calato all’improvviso, lasciando spazio solo ai titoli di coda. Niente più prove, niente più Nona di Beethoven, niente più coro.
Come milioni di loro coetanei hanno iniziato a seguire le lezioni sullo smarthphone o in videoconferenza dal pc. La “didattica a distanza” è entrata nelle loro case blindate consentendo loro di proseguire comunque lo studio. Italiano, tedesco, inglese, matematica, storia… La tecnologia, grazie a whatsapp e skype, ha permesso loro di continuare – non senza qualche difficoltà – anche le lezioni di strumento. Ciascuno di loro sapeva, però, che la Dad non li avrebbe mai potuti far uscire dalle quattro mura della loro stanza per tornare a cantare tutti insieme.
“Ciao ragazzi, come va? Tutto ok? Che ne dite, vi va di fare un progetto insieme?”. Il messaggio della professoressa Rossella Simonazzi, direttrice del coro, arriva a metà marzo sulla chat di whatsapp. “È stato bello vedere l’entusiasmo che i ragazzi hanno dimostrato fin da subito”, racconta Simonazzi. Detto fatto. Ecco arrivare in posta elettronica il file midi con base, parte strumentale e voci. E naturalmente tutti gli spartiti.
Accantonata (momentaneamente) la Nona di Beethoven, serviva trovare qualcosa che risvegliasse la “gioia” nei ragazzi. Un brano capace di aprire i loro orizzonti.
“Il pezzo lo avevo sentito un po’ di tempo fa in occasione di un concerto del coro di voci femminili Artemisia di Laives – racconta Simonazzi – e mi è subito piaciuto. Quando ho iniziato a pensare cosa proporre ai ragazzi, mi è tornato in mente. “Baba Yetu” di Christopher Tin era proprio il pezzo che stavo cercando”.
Siamo nel 2005. Soren Johnson sta lavorando allo sviluppo di “Civilization IV”, videogioco strategico a turni, considerato uno dei migliori videogiochi di sempre. Gli serve una sigla che accompagni le imprese dei giocatori, impegnati a costruire un impero, in cui lo sviluppo delle infrastrutture e l’incoraggiamento del progresso scientifico e culturale sono elementi che aumentano il punteggio finale. In poche parole, gli serve una sigla “epica”. Decide allora di chiamare il compositore Christopher Tin, suo compagno di studi a Stanford. Tin propone all’amico “Baba Yetu”, una versione corale in swahili del Padre Nostro, registrata a cappella dal suo ex gruppo Stanford Talisman. Il successo è immediato. Il 21 settembre 2006, all’Hollywood Bowl di Los Angeles, il pezzo viene eseguito per la prima volta dal vivo. Sul palco lo Stanford Talisman diretto da Jack Wall. Ed è da quel palco che “Baba Yetu” inizia camminare sulle proprie gambe e a fare il giro del mondo. Nel 2011 conquista il Grammy Award: è la prima volta che l’oscar della musica americana viene assegnato alla colonna sonora di un videogioco.
È la metà di marzo quando, nelle stanze dei ragazzi del coro del Pascoli iniziano a risuonare le note di “Baba Yetu”. Le pareti di quelle camerette si aprono sulle grandi pianure africane e loro, spartito alla mano, cantano, imparano la parte e studiano la pronuncia. Perché per loro, millennials che parlano italiano, tedesco e inglese, lo swahili è una lingua “straniera”. Poi, posizionato lo smartphone, eccoli alle prese con le prime registrazioni. Molte delle quali – come spesso accade in questi casi – vengono rifatte. Perché ogni sillaba deva essere al posto giusto e ogni nota deva avere la giusta intonazione. “I ragazzi hanno realizzato anche l’accompagnamento strumentale – racconta Simonazzi, che li ha diretti da casa – ognuno studiando da solo e ascoltando di volta in volta le parti fatte dagli altri”.
“In tutto ho raccolto 104 tracce audio, che è stato necessario equalizzare in quanto la qualità del suono registrato con uno smartphone è diversa da quella che si ha con un microfono professionale – aggiunge Simonazzi -. È iniziato poi il montaggio audio”.
E così il coro del Pascoli è tornato a riunirsi sullo schermo e nelle casse di un pc. “Una volta pronto l’audio, c’era da capire come fare con i video – prosegue Simonazzi -. La scuola non dispone di un programma professionale per il montaggio. Mi è venuto incontro un ragazzo, Leonardo Carmignola, che a casa ha il programma che ci serviva e che si è messo subito a disposizione. In una settimana il video era pronto”. Attorno al solista Daniele Gemelli, ecco tutti i 74 componenti del coro e la mini-orchestra del Pascoli, con magliette colorate a simboleggiare un sole che si staglia nell’azzurro del cielo.
“Baba Yetu” è stato postato in questi giorni sulla pagina Facebook del Liceo, conquistando da subito il pubblico dei social.
“I ragazzi sono entusiasti – commenta Simonazzi – molti di loro mi hanno scritto che, pur avendo studiato e cantato da soli a casa, si sono comunque sentiti parte di un gruppo. Ora hanno un solo desiderio: cantare “Baba Yetu” insieme, dal vivo, accompagnati da un’orchestra, davanti a un pubblico pronto a fare silenzio per ascoltarli”.