Biodiversità agricola. La ricchezza della varietà vegetale e animale, da tutelare nell’ambito della globalizzazione
La biodiversità è, cioè, una ricchezza nel momento in cui assicura cibo per tutti, rispetto dell’ambiente e condizioni eque di lavoro.
Biodiversità. Anche, e soprattutto, in agricoltura. Altro che globalizzazione che tutto appiattisce, ad iniziare dai consumi alimentari. Perché la ricchezza dell’economia agroalimentare, italiana in particolare ma non solo, sta proprio della diversità delle produzioni e quindi dell’offerta. Tutela dell’ambiente ed economia di mercato, dunque, che possono trovare più di un punto in comune. Il 2020, tra l’altro, era stato dichiarato come l’anno cruciale a livello mondiale per la conservazione della biodiversità. Appuntamento un po’ passato in secondo piano, viste le emergenze sanitarie, eppure importante. Anche se, quello della biodiversità agricola e non solo, è certamente un dato troppo trascurato, ma che proprio in questi giorni torna invece ad essere di primo piano. Si è appena conclusa, infatti, la settimana della “Laudato Sì” che ha portato un messaggio chiaro: tutto è connesso. Non evidentemente per dei semplici snodi tecnologici, ma per qualcosa di ben più ampio e importante. “L’interdipendenza – dice proprio la “Laudato Sì” -, ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune”. Che significa anche attenzione ad effetti lontani di cause vicine, così come alla cura, appunto, di una biodiversità che significa ricchezza per tutti, oltre che possibilità e libertà di scelta.
Biodiversità, quindi, come risorsa per tutti. Così, se in Europa la Commissione Ue ha appena approvato il pacchetto di strategie Famr to Fork (dal campo alla tavola) che ha l’obiettivo di caratterizzare le politiche comunitarie nelle materie della conservazione della biodiversità e sulle scelte nell’alimentazione fino al 2030, in Italia il tema non è certo nuovo. Anche se deve essere continuamente rinnovato. Lo sanno bene, per esempio, i coltivatori diretti che della ricchezza varietale hanno fatto uno dei loro grandi temi d’azione esplicitati in vario modo. La valorizzazione delle centinaia di prodotti a denominazione di origine, dei canali di vendita “a chilometro zero”, dei mercati dei contadini, di una campagna che è amica e non solo fornitrice di merci, sono tutte manifestazioni di un’attenzione importante alle biodiversità che da sempre caratterizza i campi e le stalle italiane. E che ha una derivazione culturale di non poco conto.
E’ in questo filone di attività che si inserisce per esempio anche l’impegno, più specifico, degli allevatori che dalla loro contano 16 razze bovine autoctone e a limitata diffusione (ma pur sempre con 87mila capi allevati), 25 razze equine, 10 ovine, 48 caprine. Patrimonio animale nel più vasto patrimonio agricolo, che si cerca di conservare e valorizzare attraverso la creazione di “aziende custodi” il cui compito si basa su una considerazione di fondo: accanto al valore culturale e storico di tutto questo, c’è anche un altrettanto importante valore economico, occupazionale e ambientale.
Certo, occorre fare anche attenzione. La tutela e la valorizzazione della biodiversità non deve tradursi, come accade in alcuni mercati, in una collezione di prodotti di nicchia, per pochi, venduti a caro prezzo, qualche volta costruiti solo per fini commerciali.
La biodiversità è, cioè, una ricchezza nel momento in cui assicura cibo per tutti, rispetto dell’ambiente e condizioni eque di lavoro. Biodiversità è equilibrio, partecipazione, conservazione di tradizioni e culture (anche alimentari) che devono accompagnare lo sviluppo e il progresso e non mortificare l’uomo e le sue prospettive di vita. Biodiversità che è davvero “bene comune”.