Vincent Lambert. Pessina (Univ. Cattolica): “Abbandono privo di ragioni”. De Lachapelle (Ocph): “Tutti potremmo essere Vincent”
Mercoledì il nono giorno di agonia per Vincent Lambert, privato di nutrizione e idratazione dallo scorso 2 luglio. Mercoledì sera i suoi genitori e i suoi fratelli hanno organizzato una veglia per lui. Il responsabile dell’ Office chrétien des personnes handicapées avverte: "Tutti noi potremmo diventare come lui". Per il direttore del Centro di ateneo di bioetica dell'Università Cattolica, è stata assunta "una decisione medica di totale abbandono assistenziale, senza alcuna ragione clinica": un "gravissimo atto di omissione"
Appare ormai ineluttabile la prossima fine di Vincent Lambert, il cittadino francese tetraplegico di 42 anni ricoverato in stato di minima coscienza nell’ospedale di Reims, al quale lo scorso 2 luglio sono state sospese idratazione e nutrizione. I genitori Pierre e Viviane hanno fatto sapere di avere rinunciato al tentativo di far ripristinare i trattamenti di sostegno vitale, ma di mantenere la denuncia di omicidio volontario sporta lo scorso 5 luglio contro il medico che ne ha deciso la sospensione. “Non rimane altro da fare se non pregare e accompagnare il nostro caro Vincent, in dignità e raccoglimento”, scrivono in un tweet insieme agli altri due figli David e Anne, invitando tutti coloro che hanno sostenuto la loro causa a partecipare alla veglia per Vincent in programma questa sera a Parigi, alle 20 davanti a Saint Sulpice.
“Domani, a causa di un incidente, di una malattia, di un evento personale, tutti noi potremmo essere Vincent Lambert”, avverte Philippe de Lachapelle, direttore dell’ Office chrétien des personnes handicapées, in un’intervista a “Paris Notre-Dame”, pubblicata sul sito della Conferenza episcopale di Francia. “Non capisco – afferma – perché questo uomo di 42 anni non sia mai stato ricoverato in un’unità specializzata”. Per de Lachapelle, Lambert, nella sua estrema vulnerabilità “tocca una domanda profonda: che cos’è la persona umana? In che cosa consiste la sua dignità?”. Non sappiamo fare i conti con la nostra fragilità, eppure “è il luogo dell’incontro e di una lotta comune. La fragilità fa parte della nostra umanità”. Se proviamo a cancellarla o a “sostituirla con le performance attraverso la scienza – conclude -, andremo a sbattere contro un muro”.
“Nei confronti di Lambert è stata assunta una decisione medica di totale abbandono assistenziale che non ha alcuna ragione clinica”, dice al Sir Adriano Pessina, ordinario di filosofia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Centro di ateneo di bioetica. “Qui – spiega – è in gioco la questione dell’accoglienza e dei tempi lunghi dell’assistenza di un malato con disabilità gravissima, tema con profonda valenza sociale e morale. La vicenda Lambert è davvero drammatica perché ha dato origine ad un conflitto tra familiari, tra chi voleva prendersene cura e chi no, all’interno del quale è stata assunta questa decisione priva di ragioni cliniche”. Un fatto “gravissimo”, come “è grave l’indifferenza mediatica che lo circonda e il sottile giudizio, assolutamente inaccettabile, sul valore e il significato della vita delle persone, come lui, in stato di minima coscienza”. Pessina sottolinea che senza aspettare il pronunciamento delle Nazioni unite, “si è deciso di lasciarlo morire senza provocarne direttamente la morte: tecnicamente non è eutanasia attiva, ma si tratta di un atto di omissione moralmente non meno grave, tanto più che non riguarda un paziente in fine vita, con una patologia che lo sta conducendo a morte, bensì, e lo ribadisco, una persona in situazione di disabilità gravissima, in uno stato di minima coscienza nel quale si trovano migliaia di altre persone, anche nel nostro paese, che finora hanno trovato sostegno culturale, morale, sociale oltre che clinico”.
Una vicenda che, secondo il bioeticista, “deve farci riflettere perché se non creiamo una forte barriera culturale, la questione verrà sempre demandata a delle leggi, e le leggi mettono in campo aspetti permissivi – il che non vuol dire obbligatori – che però alla fine vanno nella direzione in cui prevale chi, in qualche modo, può decidere per altri.
E la domanda corretta non è chi debba decidere, ma in base a quali criteri si debba decidere”.
Per Pessina, “principio etico universale è il dovere di garantire il diritto alla vita di ogni persona, valore basilare e condizione per l’esistenza di tutti gli altri diritti. Minare il diritto alla vita minare significa in qualche nodo minare la nostra democrazia. Su questo occorre insistere perché non è in gioco soltanto una visone religiosa dell’uomo, bensì la visione di quello che siamo noi, del nostro diritto fondamentale di essere accuditi”. Infine un monito: “Dobbiamo avere il coraggio di sottolineare che angoscia e richiesta di morire non possono essere censurate, ma non devono essere assecondate. Siamo chiamati a farcene carico e ad offrire risposte”.