Una nuova ricerca per l'uso dei droni nell'individuazione delle mine antiuomo
La brillante idea di una giovane ricercatrice italiana del Dipartimento di ingegneria meccanica e aerospaziale della "Sapienza" Università di Roma
Un altro esempio di avanzata tecnologia posta a servizio dell’uomo: parliamo dell’ipotesi realistica di impiegare appositi droni per localizzare le mine antiuomo nascoste nel terreno.
Il problema delle mine affligge ancora diverse aree geografiche. Infatti, nonostante già 164 Paesi abbiano aderito alla Convenzione internazionale per la messa al bando delle mine, restano nel mondo molte zone pesantemente contaminate da conflitti passati e recenti. L’ultimo rapporto dell’International campaign to ban landmines attesta come, dall’ottobre 2017 all’ottobre 2018, l’uso di mine antiuomo sia proseguito da parte di forze governative e non, appartenenti a paesi – almeno otto, fra cui Myanmar, Afghanistan, Colombia, India e Nigeria – che non aderiscono alla Convenzione. Ma in diversi altri paesi – come Siria e Iraq, Ucraina, Libia e Tunisia – ci sono segnalazioni che finora non è stato possibile verificare con osservatori indipendenti. Di certo, dal rapporto risulta che le vittime delle mine esplose sono state quasi 2800 (per 87% tra i civili).
Si colloca in questo scenario la brillante idea di una giovane ricercatrice italiana, Federica Mezzani, che attualmente lavora con una borsa di ricerca al Dipartimento di ingegneria meccanica e aerospaziale della “Sapienza” Università di Roma. La Mezzani, quest’anno, è tra le sei vincitrici del premio “L’Oréal Italia per le donne e la scienza” (ramo italiano del premio internazionale L’Oréal-Unesco for women in science), che assegna a giovani ricercatrici borse di 20.000 euro ciascuna per realizzare un proprio progetto. Dopo essersi applicata in vari settori di ricerca – dalle onde gravitazionali ai metamateriali, ai droni per operazioni di soccorso – la Mezzani ha sviluppato questo nuovo progetto, decisamente più ambizioso, consistente nello studio e preparazione di speciali droni che, usati in “sciami”, siano in grado di localizzare le mine antiuomo nascoste nel terreno, per creare una mappa dettagliata indispensabile a chi poi dovrà eliminarle.
In particolare, il sistema immaginato prevede due tipologie di sciami di droni. “Uno vola a una quota un po’ più alta – spiega la stessa Mezzani – per fare una ricognizione rapida del territorio e individuare le zone potenzialmente contaminate. In base alle informazioni del primo sciame, parte poi il secondo sciame che a bassissima quota, anche di pochi centimetri, fa un pattugliamento molto più dettagliato e comunica la posizione esatta delle mine per tracciarne una mappa in tempo reale. Lo scopo non è di farle esplodere ma solo di localizzarle”. Secondo la giovane ricercatrice italiana, le tecnologie di base per realizzare questo disegno esistono già, ma vanno sviluppate per questo uso specifico. Bisognerà invece sviluppare delle tecnologie più sofisticate per quanto concerne le logiche di controllo dei droni. L’altra sfida tecnologica riguarda l’individuazione del set di sensori più adatto al rilevamento le mine. La Mezzani al momento pensa di utilizzarne due tipi: dei sensori a ultrasuoni (più potenti ma con meno dettaglio), da usare sui droni ad alta quota, e un gravimetro da impiegare su quelli a bassissima quota. Quest’ultimo, messo a punto all’Università di Glasgow, rilevando piccole variazioni dell’accelerazione di gravità dovute a variazioni di densità del terreno, permette di visualizzare quel che c’è sottoterra proprio attraverso la misurazione della gravità. In ogni caso, in una prima fase del progetto saranno comunque presi in esame anche altri sensori, per individuare i più appropriati, dato che serve una sensibilità molto alta per individuare in modo preciso le mine distinguendole da altre anomalie del terreno. La sperimentazione, che dovrebbe iniziare il prossimo novembre, dovrebbe dare i primi risultati utili iniziali entro dieci mesi. Se avrà successo, si tratterà di trovare ulteriori finanziamenti per proseguire lo sviluppo di quest’idea innovativa. “La speranza – conclude Mezzani – è che, avendo una mappatura precisa, si possa andare a disinnescare le mine una a una, anziché farle brillare come si fa spesso oggi, perché le esplosioni possono inquinare i terreni”.