Un crocifisso che invita al dialogo. L'ennesimo pronunciamento di una Corte sul tema lascia in sostanza liberi tutti
L’ultimo pronunciamento della Cassazione si riferisce al caso di un professore di un istituto professionale statale di Terni, in Umbria.
Scelta Pilatesca. Così è stata definita la sentenza recente della Cassazione sul tema del crocifisso nelle aule scolastiche. Non manca una certa ironia, probabilmente, utilizzando l’esempio di Pilato che proprio in rapporto al Crocifisso – Gesù, l’uomo di Nazaret che il procuratore romano condannò lavandosene le mani e dando l’impressione, nel racconto de vangeli, di non voler decidere – al tema che da anni torna nel mondo scolastico e non solo.
Scelta “pilatesca”, perché l’ennesimo pronunciamento di una Corte – se ne sono occupate tante: non solo la Cassazione, ma addirittura anche la Corte europea per i diritti dell’uomo, fino alla Grande Chambre – sull’esposizione del simbolo cristiano in un luogo pubblico (l’aula scolastica in questo caso,ma c’è chi ricorderà anche il tema delle aule giudiziarie, ad esempio) lascia in sostanza liberi tutti.
L’ultimo pronunciamento della Cassazione si riferisce al caso di un professore di un istituto professionale statale di Terni, in Umbria. Qualche anno fa, l’insegnante si era opposto all’ordine del dirigente scolastico di esporre il crocifisso nelle aule: ogni volta che faceva lezione, il professore toglieva il crocifisso dal muro, per poi rimetterlo quando usciva dall’aula. Questo gli aveva procurato una sanzione in quanto il docente non rispettava la disposizione del preside e si rifiutava di fare lezione con il crocifisso appeso al muro. Di conseguenza lo stesso aveva fatto ricorso chiedendo un risarcimento, dicendo che si era sentito discriminato. Il caso è arrivato fino alla Corte di Cassazione, che ha quindi esaminato l’incompatibilità tra l’ordine di esporre il crocifisso da parte del preside e la libertà di coscienza del professore in questione.
Ed ecco la soluzione “pilatesca”: la Corte, a sessioni unite, ha stabilito che, pur non essendo obbligatoria, l’affissione del crocifisso nelle scuole pubbliche non può essere ritenuta un atto di discriminazione nei confronti di chi non la condivide. Per cui – si può comprendere – non vale l’opposizione del docente di “sentirsi discriminato”. Tuttavia, sempre la Corte, ha stabilito anche che ogni scuola deve decidere in autonomia se esporre o meno il crocifisso, e che la decisione deve essere il frutto di un ragionevole accordo tra le parti che abbiano eventuali posizioni diverse. Di conseguenza, anche la direttiva impositiva del preside non va bene. Insomma, ciascuno si arrangi come può.
La sentenza della Corte valuta che l’esposizione del crocifisso – considerato un simbolo legato alla tradizione culturale del popolo italiano, argomento peraltro già noto – non può essere intesa come un atto di discriminazione, perché il crocifisso è un simbolo passivo che non comporta alcun atto di adesione da parte degli insegnanti e non ne limita la libertà di insegnamento né quella di esprimere le proprie convinzioni, anche religiose. Però i giudici hanno anche sottolineato che la circolare impositiva del preside non poteva considerarsi legittima in quanto l’esposizione del crocifisso non può essere imposta, ma piuttosto deve risultare da un percorso di confronto e mediazione tra le diverse parti all’interno di ogni istituto scolastico. Autonomia dunque agli istituti per esporre o meno il simbolo cristiano, prima però deve esserci una decisione condivisa, che in sostanza metta d’accordo tutti..
Bene, annotiamo quest’ultimo capitolo di una vicenda che davvero va per le lunghe, con posizioni piò o meno accese e/o astiose. Chissà come si regoleranno d’ora in poi gli istituti scolastici. Resta il fatto che un simbolo legato così fortemente al “patrimonio storico del popolo italiano” e per sua natura – come peraltro riconosciuto a ripetizione – indicante non l’imposizione di una fede ma tutt’al più la provocazione a valori di rispetto, dialogo, amore verso chiunque, continui suo malgrado a finire sotto il tiro di polemiche e divisioni. E’ vero che non di rado è stato brandito come una clava, piegato agli interessi più disparati e talvolta inumani – la storia insegna – tuttavia sappiamo che non è questo il suo valore. Prendiamo intanto per buono l’invito al dialogo, in particolare nella scuola: somiglia tanto alle braccia aperte – inchiodate – di quel simbolo cristiano che abita le strade degli uomini – non solo le aule scolastiche – da duemila anni.