Un brindisi italiano. Le previsioni per il comparto spumanti sono positive, ma le difficoltà non mancano
Qualità sempre elevata, attenzione ai canali di vendita e differenziazione del prodotto appaiono essere gli strumenti corretti per raggiungere obiettivi sempre più importanti.
Un successo dietro l’altro, anche se lo scivolone (di mercato) è sempre dietro l’angolo. E’ il caso della spumantistica italiana che, nonostante tutte le difficoltà (pandemia compresa), riesce a collezionare numeri di tutto rispetto.
Il punto della situazione è stato fatto in questi giorni a Garda (Verona), nel corso di un convegno organizzato dal Corriere Vinicolo di Unione Italiana Vini a Spumantitalia. E basta davvero qualche numero per comprendere bene il grado di espansione di un settore che per l’Italia significa non solo un forte giro d’affari ma anche un livello di occupazione importante oltre che, per alcune aree, un presidio attento del territorio.
Stando ai numeri resi noti a Garda, quindi, la spumantistica italiana è avviata a raggiungere 1 miliardo di bottiglie entro il prossimo triennio, il 33% in più rispetto all’attuale produzione di 750 milioni di pezzi. Si tratta di un traguardo ambizioso ma ritenuto “obiettivo raggiungibile” dagli osservatori del settore. Anche se a certe condizioni. Deve essere – dice per esempio Attilio Scienza (uno dei più noti studiosi della vitivinicoltura nazionale che ha preso parte all’incontro) -, “salvaguardata l’identità dei territori, nel rispetto dei disciplinari e delle diverse varietà, perché non tutti i vitigni hanno la vocazione alle bollicine”. Indicazione importante, attraverso la quale – a ben vedere -, passo un po’ tutto l’agroalimentare italiano. L’equilibrio tra necessità di mercato e radici produttivi nella Penisola, infatti, è poi quello sul quale si fonda buona parte del successo dei nostri prodotti nel mondo.
Qualità sempre elevata, attenzione ai canali di vendita e differenziazione del prodotto appaiono così essere gli strumenti corretti per raggiungere obiettivi sempre più importanti. Un esempio arriva proprio dagli spumanti. Oggi – è stato fatto notare proprio a Garda -, il Prosecco è diventato sui mercati internazionali sinonimo di “spumante italiano”, condizione positiva da una parte, ma delicata dall’altra. Serve, dicono i produttori, “caratterizzare le bollicine italiane” e cioè far capire ai consumatori che non tutto lo spumante è Prosecco, ma che, invece, possono esserci ottimi spumanti che con il Prosecco non hanno nulla a che fare.
Detto tutto questo, rimangono comunque i numeri della crescita. Ad iniziare da quelli delle esportazioni che, stando ai tecnici, sono tornate a crescere. Secondo il focus dell’Osservatorio del vino Uiv, ad oggi gli spumanti rappresentano quasi 1/4 del valore delle esportazioni made in Italy per un controvalore di circa 1,5 miliardi di euro nel 2020, per il 69% afferente al “sistema” Prosecco. La crescita media annua negli ultimi 5 anni supera a valore l’8%, nonostante una variazione negativa nel 2020 (-7%). A livello mondiale 1/3 delle bollicine vendute sono di Prosecco, seguite dal Cava (14% dei volumi), dallo Champagne (11%) e dall’Asti. Delle attuali 751 milioni di bottiglie prodotte in tutta Italia nel 2020, l’83% sono Doc o Docg, mentre il 6% sono Igt. Numeri importanti che, come è emerso dagli incontro di Garda, potrebbero crescere ancora anche se devono essere confrontati con il crollo degli ultimi mesi.
Le difficoltà causate dalla pandemia al commercio internazionale si riflettono infatti anche sui consumi mondiali di vino che sono scesi ai minimi da 15 anni su un valore di appena 2,34 miliardi di litri nel 2020, secondo da un’analisi della Coldiretti su dati Oiv. Quanto sia importante risalire la china è reso evidente dal fatto che vini e spumanti hanno dietro livelli altissimi di professionalità e di occupazione che non possono certo essere trascurati. Tutto sta adesso nel compiere le mosse giuste per prevalere comunque su un mercato che non concede margini di errore.