The Economy of Francesco. Zamagni: “Ci vuole una trasformazione, non solo una riforma”
"Il modo in cui organizziamo oggi i nostri sistemi economici ha bisogno di una trasformazione, non di una mera riforma". L'economista Stefano Zamagni illustra così al Sir The Economy of Francesco, che dal 19 al 21 vedrà riuniti duemila giovani da tutti il mondo per "firmare" e presentare al Papa un patto globale per una nuova economia
“È la prima volta nella storia della Chiesa che viene organizzato un evento che ha per tema esclusivamente l’economia”. Così Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, illustra al Sir The Economy of Francesco, che dal 19 al 21 novembre vedrà riuniti duemila giovani economisti ed imprenditori “under 35” provenienti da tutto il mondo. L’obiettivo: cercare insieme, confrontandosi con Premi Nobel, economisti, scienziati, imprenditori ed esperti di fama mondiale, il paradigma di una nuova economia a servizio di un mondo malato. Non solo di Covid.
Professore, perché The Economy of Francesco è un evento straordinario?
Perché è la prima volta nella storia della Chiesa che viene organizzato un evento che ha per tema esclusivamente l’economia. Da sempre la Chiesa, infatti, ha organizzato incontri su temi come la famiglia, sull’’educazione, ma sull’economia in quanto tale non era mai accaduto. Questo evento, voluto da Papa Francesco, è il frutto di un lungo percorso preparatorio, iniziato nel 2009, quando Benedetto XVI ha scritto la Caritas in Veritate: in quel documento c’erano già i semi di questa iniziativa. Molti non lo notarono, ma c’è un filo di continuità tra Bergoglio e il suo predecessore.
Il modo in cui organizziamo oggi i nostri sistemi economici, sia occidentali che mondiali – anche la Cina ha ormai adottato il modello dell’economia di mercato, pur non essendo un Paese democratico – ha bisogno di una trasformazione, non di una mera riforma. Le riforme servono nei tempi ordinari, ma quando la macchina perde pezzi va trasformata.
Quali sono le distorsioni da correggere nel modello dell’economia globalizzata?
Va trasformata, in primo luogo, la finanza, che non agisce più in funzione delle esigenze di benessere delle persone e dei popoli perché è diventata autoreferenziale e funzionale solo per se stessa o per alcuni. In secondo luogo, vanno riformate le regole che governano la globalizzazione. È iniziata negli Anni Settanta ma le regole sono rimaste al 1944, quando a Bretton Woods si sono riuniti i principali Paesi industrializzati del mondo occidentale.
Bisogna adeguare le regole del gioco alle nuove caratteristiche con cui fa i conti l’economia di oggi: la globalizzazione e la digitalizzazione.
In terzo luogo, va affrontato una volta per tutte il tema dell’aumento endemico e sistemico delle disuguaglianze, che riguardano sia il reddito, sia la ricchezza, sia la disuguaglianza nelle opportunità, prima fra tutte la disuguaglianza di genere, ma anche tra categorie o etnie diverse: l’accesso a certi profili professionali o lavorativi non è aperto a tutti. In quarto luogo, c’è da affrontare la questione ambientale, che è ormai una questione di portata epocale: non ci si può illudere che basti il buon cuore e o i buoni comportamenti dei cittadini. Fare bene la raccolta differenziata, ad esempio, è, importante, ma ancora più importante è che si aboliscano i combustibili fossili e si metta al bando l’uso della plastica.
Non ci si può più fidare dei comportamenti buoni, ma occorre interagire a monte per una transizione energetica secondo il modello dell’economia circolare, in sostituzione dell’energia lineare.
Infine, c’è la questione antropologica: se, in nome dei progressi dell’intelligenza artificiale, sono gli algoritimi e i robot a prendere tutte le decisioni, la conseguenza è la diminuzione degli spazi di libertà.
Uno dei nodi, come scrive il Papa nella Fratelli tutti, è il rapporto tra l’economia e la politica.
Questa è una trasformazione che racchiude tutte le altre, e che riguarda il rapporto tra democrazia e politica, tra mercato e sfera politica in senso proprio. Come ricorda il Papa nel quinto e sesto capitolo della Fratelli tutti,
la politica è al servizio dell’economia: quando per tanto tempo è vero il contrario, si verificano degli esiti infausti.
Se la politica è il regno dei fini e l’economia è il regno dei mezzi, nel momento in cui il mezzo diventa fine lo stravolgimento della cultura e degli spazi di libertà è la tragica conseguenza. Oggi chi detta la linea dell’alta cultura, a cominciare dalla scuola, non è il più la politica attraverso il democratico confronto di opinioni, ma la sfera economica, e ciò comporta una regressione della democrazia, che è nata 2400 anni fa in Grecia: siamo andati avanti sul piano tecnologico, ma non sotto il profilo culturale.
Quali sono i tratti dell’economia di Francesco d’Assisi che possono essere ritenuti validi ancora oggi?
Assisi è un luogo simbolico: è lì che è cominciato il paradigma dell’economia civile, tipicamente italiano. Nel 1753 l’Università di Napoli istituì la prima cattedra al mondo di economia, come scienza accademica, ed era una proprio una cattedra di economia civile. È stato il punto di arrivo di un processo nato tra il Trecento e il Quattrocento nella scuola di pensiero francescana.
Sono i francescani che hanno inventato non i mercati, che sono sempre esistiti, ma l’economia di mercato come modo di organizzare la vita sociale.
L’economia politica, nata con Adam Smith, ha avuto grandi meriti, ma non ha nulla da dire oggi: ci dice come aumentare la ricchezza, ma non come ridistribuirla. Oggi c’è un ritorno alle origini: non è un caso che nel prossimo Concistoro il Papa abbia scelto tre nuovi cardinali francescani. Bisogna ritornare all’ispirazione francescana, aggiornandola alle nuove sfide di oggi.