Studenti nelle piazze per tornare tra i banchi. Dobbiamo ascoltarli a ogni costo
La protesta. Perdere la vita non è solo morire, ma anche non potersi formare a dovere
Li ho visti nelle vie del centro di Padova, come sotto le torri di palazzo Lombardia a Milano, ma anche a Firenze, Ragusa, Roma, Palermo, Varese e Modena, grazie al web. Sono gli studenti delle superiori e non chiedono altro che di poter andare a scuola. Andarci fisicamente. Godere della loro scuola, di tutto ciò che non è nozionismo, verifica, ascolto, puro ragionamento. Il vero carburante dell’apprendimento sono le relazioni, tra pari e con i docenti. Quando mai era accaduto prima d’ora, almeno qui da noi? Pensiamoci: siamo davanti a un fatto di portata storica, almeno per quella generazione.
Il dibattito surreale sulla strategia europea per mantenere chiusi gli impianti di risalita e limitare l’inverno godereccio deve lasciare il posto al confronto tra Governo, Giunte regionali e parti sociali su come riaprire in sicurezza tutte le scuole. Bene che il premier Conte abbia assicurato a Otto e mezzo di essere al lavoro per questo. Bene anche il sentito appello del coordinatore del Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo: «Le scuole devono, non possono, ma devono, restare aperte». Ora però è il momento di fare sul serio, sul fronte dei trasporti, come su quello della flessibilità degli orari. «Limitiamo i danni psichici», prega lo psicoterapeuta Federico Bianchi di Castelbianco.
Salvare una vita è anche permettere a una mente di formarsi, senza dimenticarsela dietro a uno schermo.