Sport e sagre: così la mafia si è presa il Veneto. Parla Maurizio Dianese
Culturalmente impreparati. Camorra, 'Ndrangheta e Mafia siciliana si sono spartite il territorio, ma i veneti continuano a non accorgersene. Parla il giornalista Maurizio Dianese, che con tre colleghi ha fondato a Dolo il Centro di inchiesta e documentazione sulla malavita in Veneto
«In Veneto le mafie ormai si sono infiltrate ovunque e l’hanno fatto a piccoli passi, entrando nelle case come amici disposti ad aiutare economicamente gli imprenditori o le amministrazioni locali».
Non ha dubbi Maurizio Dianese, giornalista e autore di articoli, inchieste e libri sulla Mala del Brenta e la malavita nel Nordest, che con i colleghi Gianni Belloni, Antonio Massariolo e Roberta Polese ha dato vita al Centro di documentazione e d’inchiesta sulle criminalità organizzate del Veneto (Cidv) inaugurato lo scorso 17 febbraio a Dolo.
«Il caso del comune di Zimella – spiega – dimostra in modo evidente che sono dappertutto. Un piccolo paesino nel Veronese di poche migliaia di abitanti dove la Dia di Venezia ha smantellato una 'ndrina che era così forte da essersi staccata dalla “casa madre” calabrese e aver acquisito una propria autonomia d’azione».
Dal racconto di Dianese emerge che le mafie si sono spartite il territorio veneto insediando verso Verona, nella zona del lago di Garda, tre organizzazioni ‘ndranghetiste; più a sud la ‘ndrangheta e la mafia; nella zona orientale la Camorra e in particolare il clan dei Casalesi mentre a Venezia hanno messo radici ‘ndrangheta e mafia palermitana.
«Qui da noi – prosegue – hanno avuto gioco facile perché non eravamo culturalmente preparati al fenomeno. Io stesso quando dieci anni fa studiavo la situazione di Eraclea, se non avessi parlato con il magistrato Nicola Gratteri, non avrei capito che per trovare le infiltrazioni mafiose occorre tenere d’occhio le ditte che sponsorizzano squadre di calcio e feste patronali. E, infatti, scoprii che Luciano Donadio, capo locale del clan dei Casalesi, sponsorizzava la squadra di calcio del Ponte Crepaldo di Eraclea e la festa del patrono e stava proponendo, all’allora sindaco Giorgio Talon, di mettere gratis le luminarie di Natale».
Un obiettivo chiaro, quello delle mafie in Veneto: entrare nella vita quotidiana dei cittadini per carpirne la fiducia presentandosi come brave persone. «Donadio – prosegue – sul Ponte Crepaldo ha investo 50 mila euro, una cifra enorme per una piccola squadra, ma nessuno si è preoccupato di verificare la provenienza di quel denaro. Così un capo clan è entrato di diritto tra le persone che contano della comunità di Eraclea».
Mentre ai tempi della Mala del Brenta tutti sapevano chi era Felice Maniero e gli stavano alla larga, oggi le mafie sono parte della nostra vita tanto che si arriva al punto che all’indomani degli arresti di Eraclea i cittadini avviano una raccolta firme in difesa del sindaco Mirco Mestre, ritenendo impensabile che una persona che è parte integrante della comunità potesse essere un malavitoso. E questo è esattamente quello che avviene da sempre nel sud Italia.
Di fronte a questa situazione la repressione, se pur indispensabile, è solo la cura per l’oggi, il vaccino per il domani è dato dallo studio dei fenomeni malavitosi e dalla formazione dei cittadini che devono imparare a riconoscere per tempo tutti i campanelli d’allarme, «perché – spiega Dianese – anche un piano regolatore può invitare al malaffare. Pensiamo a Jesolo: nel momento in cui prevedi nuova edificazione in una fase di crisi economica, quando gli imprenditori locali non possono investire, stai incoraggiando l’arrivo di capitali sporchi. Gli studi fatti dall’Università di Padova lo dicono chiaramente: in Veneto lavorano 400 imprese di media e grossa dimensione che sono infiltrate dalle mafie».
Eppure nonostante da molto tempo se ne parli, si lancino allarmi e si spieghi il fenomeno, ancora non ci poniamo le giuste domande e ripetiamo sempre gli stessi errori. «Recentemente – prosegue il giornalista – ad Abano Terme una famiglia russa ha comprato tre alberghi ma nessuno è andato a controllare da dove arrivano i soldi perché persiste la cultura veneta del “basta che ci siano i soldi”. Invece oggi i grossi investimenti delle mafie sono fatti proprio nel settore turistico. E poiché il Veneto è una delle principali mete turistiche italiane, è indispensabile vigilare».
È il caso del Tronchetto a Venezia. Nel 2014 a Mestre è stato arrestato Vito Galatolo, rampollo del boss dell’Acquasanta. Gli investigatori scoprono che era stato assunto, in modo fittizio, da Otello Novello, detto “Coco cinese”, ossia l’uomo che controllava per conto della malavita veneziana il Tronchetto. Cosa ci fa lì un mafioso?
«La risposta è semplice – conclude Dianese – se si pensa che in quella zona di Venezia arrivano ogni anno dai 3 ai 5 milioni di turisti. Galatolo aveva interessi economici a gestire tutto quel flusso. Oggi la situazione non è diversa. Il Tronchetto, oltre a essere nelle mani della malavita organizzata dei vecchi tempi, vede la presenza molto forte dei cinesi che gestiscono i flussi dei loro connazionali attraverso un’agenzia di viaggio di proprietà di un'unica famiglia cinese che possiede anche ristoranti e ne ha appena aperto uno molto grosso vicino piazza San Marco».
Eraclea
Il Comune veneziano finito al centro dell'indagine della direzione distrettuale antimafia di Venezia non sarà sciolto per mafia. Lo ha deciso il ministro dell'Interno Lamorgese il 18 marzo, nonostante l'arresto del sindaco Mirco Mestre per voto di scambio e nonostante la stessa inchiesta avesse messo in luce il legame dell'amministrazione con il clan camorristico di Luciano Donadio. A ribaltare le attese la «non congruenza» di tutti gli elementi emersi. Le relazioni tra Mestre, il vicesindaco Teso e Donadio non avrebbero dunque portato ad alterare il processo di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi.