Sintassi costituzionale. Il premier Conte gode della fiducia dell'opinione pubblica: gli effetti sullo scenario politico
A impensierire i leader dei partiti al governo è anche il consenso che l'attuale Presidente del Consiglio continua a godere presso l'opinione pubblica.
La tendenza a forzare e talvolta a stravolgere il ruolo e il funzionamento delle istituzioni produce degli effetti surreali, fino al punto da far apparire “irregolari” affermazioni e comportamenti che invece rispondono alla più elementare sintassi costituzionale. Si prenda la figura del Presidente del Consiglio dei Ministri. Secondo l’articolo 95 della Costituzione, egli “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile”, “mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri”. Eppure è bastato che Giuseppe Conte acquisisse un più autonomo rilievo rispetto ai due partiti che sostengono il governo e una rispettabile proiezione internazionale, per attivare sospetti su eventuali ambizioni politiche alternative, dentro e fuori la maggioranza, e scatenare reazioni finanche scomposte. Il vicepremier Salvini, per esempio, ha dichiarato che le parole pronunciate da Conte al Senato (non in un comizio o su facebook) sul caso Russia, gli interessano “meno di zero”.
A impensierire i leader dei partiti al governo è anche il consenso che l’attuale Presidente del Consiglio continua a godere presso l’opinione pubblica. Un consenso che lo colloca stabilmente al primo posto nel gradimento rilevato dai sondaggi. Prese con le pinze queste rilevazioni, non è comunque trascurabile il fatto che tale consenso sia connesso a un profilo più equilibrato e istituzionale rispetto a quello di altri esponenti del governo, assai più bellicosi nei gesti e nelle parole.
Nel già citato discorso al Senato, Conte ha affermato inoltre che sarebbe tornato in Parlamento “ove mai dovessero maturare le condizioni per una cessazione anticipata dell’incarico”. Anche in questo caso una ridda di interpretazioni dietrologiche, come se la frase contenesse l’implicito annuncio della disponibilità a guidare governi fondati su altre maggioranze. Lasciamo che i “retroscenisti” facciano il loro mestiere (a volte ci prendono, a volte no) e restiamo a quanto avviene sulla scena pubblica: in caso di crisi di governo, dove mai dovrebbe andare un Presidente del Consiglio se non in Parlamento? Siamo all’abc della Costituzione. Articolo 94: “Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere” e “ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale”. E’ pur vero che nella storia della Repubblica i precedenti di crisi “extraparlamentari” non mancano, ma sono essi l’anomalia, non viceversa. Ed è anche assolutamente improprio parlare di “ribaltone” quando nel corso di una legislatura si forma in Parlamento una maggioranza diversa senza passare per nuove elezioni. La Costituzione vigente non prevede l’elezione diretta dell’esecutivo, i governi nascono e muoiono sempre in Parlamento. Ciò è tanto più vero non solo dal punto di vista formale, ma sostanziale, nella situazione presente, in cui il governo in carica è frutto di un accordo tra due partiti che alle elezioni si erano presentati in competizione fra loro e uno di essi, la Lega, addirittura all’interno di una diversa coalizione.