Sinodo per l’Amazzonia. P. Bossi (comboniano): “La Chiesa ascolti il grido dei popoli e della terra”
La lotta della comunità di Piquiá de Baixo, nella regione di Carajás, contro l'industria estrattiva che avvelena le persone e la natura, è un forte esempio simbolico di autodeterminazione dei popoli contro la predazione dell'Amazzonia. Tra i protagonisti, che sarà presente al Sinodo per l'Amazzonia che si svolgerà in Vaticano dal 6 al 27 ottobre, il missionario comboniano padre Dario Bossi.
Nella regione di Carajás, nello Stato brasiliano del Marañhao, “la gente continua a morire per le conseguenze dell’inquinamento e ancora non ci sono prospettive di soluzione”. A parlare al Sir è padre Dario Bossi, provinciale dei comboniani in Brasile. Dal 2017 risiede a San Paolo, viaggiando in lungo e largo per il Paese. Prima è stato oltre dieci anni a Carajás, dove ha condiviso le lotte della popolazione contro l’impresa Vale S.A, la più grande multinazionale nell’ambito dell’estrazione ed esportazione del ferro. Presente nella zona da più di trentanni, la Vale ha un impatto devastante sulla vita delle comunità locali di indigeni, afrobrasiliani, pescatori: altissima mortalità per tumore, aggressioni e minacce da parte di paramilitari, processi contro gli attivisti, calunnie, danni alla salute e all’ambiente. Padre Bossi sarà a Roma per partecipare ai lavori del Sinodo per l’Amazzonia, dal 6 al 27 ottobre. Il caso di Caracajàs, che riguarda una comunità amazzonica e una impresa estrattiva, è altamente simbolico e significativo della predazione in corso nel polmone verde del mondo. Nei suoi 7 milioni e mezzo di chilometri quadrati l’Amazzonia comprende 9 Paesi (Brasile, Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese). Racchiude i giacimenti minerari più importanti, un terzo di tutti i boschi e metà degli animali e delle piante di tutto il mondo. Ci vivono 33 milioni di persone, tra cui 3 milioni di indigeni di 382 popoli o “nazioni”. Il Sinodo, fortemente voluto da Papa Francesco e intitolato “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”, servirà ad ascoltare il grido dei popoli e della terra.
La lotta della comunità di Piquiá de Baixo, municipalità di Açailândia. In questi anni nella regione di Carajás l’impresa Vale ha raddoppiato le proprie attività, ha aperto una nuova enorme miniera, raddoppiato i binari del “serpente di ferro”, il treno più lungo del mondo, che con 330 vagoni percorre più di 900 km fino al porto di São Luis de Marañhao, dove partono i container di materia prima. “Da più di 10 anni la comunità sta lottando per fuggire dall’inquinamento e chiedere una riparazione integrale dei danni”, racconta padre Bossi. Il guaio è che il progetto modello per reinsediare 1.000 persone in una zona salubre è stato bloccato di recente dal governo brasiliano, a seguito della sospensione dei fondi per le abitazioni popolari.
“In Brasile è un momento molto difficile – spiega il comboniano -. Ci sono tagli consistenti sull’educazione pubblica, la salute, l’appoggio alle cooperative indigene, la prevenzione degli incendi”. Il progetto di Piquiá è stato riconosciuto a livello internazionale come buona prassi di effettiva riaffermazione di diritti. L’Onu ha già scritto due volte al governo per chiedere che non venga interrotto. Lo stesso ha fatto la Corte interamericana per i diritti umani. La costruzione degli edifici è iniziata a novembre 2018 ma finora è stato realizzato solo l’8% di tutto il progetto, con gravi ritardi nei finanziamenti. “È un esempio fortissimo di una comunità che ha mantenuto la testa alta per il riscatto dei propri diritti – afferma -. Vogliamo che sia uno dei volti del Sinodo. La Chiesa del Marañhao si è fortemente schierata a favore della comunità. Mostra una Chiesa che non fa solo discorsi teorici ma si rende presente”.
A Roma dal 4 al 27 ottobre la tenda di “Amazzonia, casa comune”. Una giovane rappresentante della comunità di Piquià de Baixo sarà Roma per portare la sua testimonianza durante l’evento parallelo “Amazzonia, casa comune” organizzato da numerose realtà cattoliche che sarà allestito nella Chiesa S.Maria in Traspontina in via della Conciliazione, dal 4 al 27 ottobre: una tenda, uno spazio di incontro e preghiera dove ascoltare le storie dei protagonisti e vivere la spiritualità amazzonica. Ci saranno dibattiti, testimonianze, mostre fotografiche, film. Al Sinodo si incroceranno i temi dell’ecologia integrale e dei nuovi volti per la Chiesa dell’Amazzonia. Si parlerà del progetto predatorio in corso, che considera questa regione solo una fonte di risorse minerarie da estrarre, alberi da tagliare, agrobusiness per monocolture devastanti per la produzione di etanolo. E della relazione ancestrale e integrata con la natura dei popoli indigeni e delle comunità di afrodiscendenti che vivono lungo il corso dei fiumi, nella foresta.
“E’ importante dare autorità e priorità alle popolazioni indigene” afferma il missionario -. Questo non significa negare la sovranità nazionale dei vari Paesi ma fare in modo che anche le legislazioni locali rispettino il diritto dei popoli all’autodeterminazione e al consenso previo, libero e informato su quanto accade nel loro territorio. Diritto che viene sistematicamente violato quando si impongono progetti esterni”.
Il diritto all’eucarestia. Il comboniano ricorda che il Sinodo è già iniziato da tempo, “ed è riuscito a coinvolgere veramente la base”: in 7 mesi sono state realizzate 260 assemblee, contattate 86.000 persone, ascoltate 172 etnie indigene (chiamate “nazioni”) su 340 (il 44%).
I loro contributi hanno costituito la base del documento preparatorio, l’Instrumentum laborius, nel quale le comunità si sono riconosciute. Ad ottobre, tra i 250 padri sinodali, soprattutto vescovi scelti da diverse regioni del mondo, saranno presenti anche alcuni rappresentanti dei popoli indigeni. Le questioni più dibattute riguarderanno “il diritto all’eucarestia”, ossia la possibilità che laici e laiche, anche sposati, portino l’eucarestia nei luoghi più isolati, dove le celebrazioni della messa presiedute da sacerdoti sono un lusso. La maggior parte dei vescovi sono infatti alla guida di diocesi con territori vastissimi, difficili da raggiungere. “Sarebbe un passo importante per la dimensione quotidiana della vita delle comunità – sottolinea padre Bossi -. Non possiamo sacrificare la vita della Chiesa. Non è una proposta che nega il valore del celibato, che continua ad essere un dono in funzione della missione. Ma include la possibilità di altre figure ministeriali”.
L’impatto a livello internazionale. Sugli effetti che un Sinodo sull’Amazzonia potrebbe avere a livello politico, nazionale ed internazionale, ad esempio riguardo ai cambiamenti climatici e alla depredazione della natura, il missionario è ottimista: “Già le parole di Papa Francesco con la Laudato sì hanno avuto impatto forte. È vero che alcuni governi in America Latina si chiudono nel nazionalismo, e l’isolamento è molto pericoloso. Ma l’emergenza climatica non permette barriere nazionali. È importante affrontarla con una alleanza internazionale.
Il potenziale del Sinodo e della Chiesa nel farsi voce delle popolazioni locali e di proposte alternative è forte” . L’aspettativa dei movimenti popolari brasiliani è chiara: “Che la Chiesa sia al loro fianco in questo cammino di rivendicazione e denuncia. Questo dà una forza maggiore e una migliore interlocuzione con le istituzioni, più credibilità e visibilità”.