Sinodo per l’Amazzonia: “ministri propri” e ruolo delle donne per “cambiare paradigma”
Terminato il primo blocco delle Congregazioni generali, il Sinodo per l'Amazzonia si è riunito oggi nei Circoli Minori
“Abbiamo bisogno di ministri propri. Fino ad oggi abbiamo avuto solo ministri che venivano da fuori”. A lanciare l’appello è stato mons. Wilmar Santin, vescovo prelato di Itaituba, in Brasile, che durante il briefing di oggi sul Sinodo per l’Amazzonia ha rivelato che il Papa ha confidato ad un suo confratello “un sogno: vedere in ogni villaggio dell’Amazzonia un padre sacerdote indigeno”. “Cominciate con quello che la Chiesa vi permette: il diaconato permanente”, il consiglio di Francesco. E così, nel suo territorio – 175mila chilometri quadrati, a sud est dello Stato del Paranà – è stato messo a punto un piano per i diaconi permanenti. “Oggi abbiamo 40 ministri della Parola che predicano nella loro lingua. Continueremo con i ministri del battesimo e poi con i ministri del matrimonio”, ha raccontato Santin. “Dobbiamo arrivare in tempo dove ci sono le persone”, ha concluso il vescovo: “Dobbiamo cambiare la struttura della Chiesa, affinché sia più snella, non più così lenta nelle decisioni, e non dipenda più solo dal sacerdote”.
Iniziati i Circoli Minori. Ieri è terminato il primo blocco di interventi dei 184 padri sinodali nelle Congregazioni generali. Oggi sono iniziati i Circoli Minori. A riferirne ai giornalisti sono stati il prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e presidente della Commissione per l’informazione, Paolo Ruffini, e padre Giacomo Costa, segretario della Commissione per l’informazione. Il lavoro dei Circoli Minori proseguirà fino a domani, mentre le Congregazioni generali riprenderanno da sabato prossimo a martedì 15. Il 16 e il 17 ottobre i padri si riuniranno di nuovo nei Circoli Minori e il 17 sera verrà presentata ufficialmente in aula la relazione conclusiva – un’unica relazione per tutti i Circoli Minori, diversamente da quanto era accaduto nel Sinodo per i giovani – che sarà poi resa pubblica. Tutta l’ultima settimana sinodale, invece, sarà dedicata a rivedere il progetto di documento, discuterlo e votarlo il 26 pomeriggio per riconsegnarlo al Santo Padre, che domenica 27 presiederà la messa conclusiva. “Tutta la discussione nelle Congregazioni generali – ha riassunto Ruffini, ricordando che ieri pomeriggio in aula è intervenuto anche Papa Francesco – è ruotata intorno a tre grandi temi: la questione ecologica; la necessità di cambiare paradigma; il modo di essere Chiesa in Amazzonia”.
“Non è una questione di potere, ma di partire dal servizio”.
Così suor Gloria Liliana Franco Echeverri, presidente della Confederazione latino-americana dei religiosi (Clar), ha risposto ad una domanda sul ruolo della donna. Solo da quella prospettiva, ha spiegato la religiosa, si può “riconoscere e valorizzare il ruolo speciale di noi donne nella Chiesa, come teologhe, catechiste, animatrici”. “La Chiesa ha un volto femminile, è madre, è maestra, ma in questo tempo è fondamentalmente sorella e discepola”, ha proseguito: “Abbiamo tutto un cammino da percorrere, nel quale non siamo le protagoniste. La Chiesa è in discernimento, e il culmine non sappiamo se sarà questo tempo o un altro: continuiamo come fratelli e sorelle, perché il volto delle donne nella Chiesa possa essere sempre più nitido”. Interpellata sul tema della violenza contro le donne, la religiosa ha risposto: “Non c’è un popolo che ne sia esente”. Per quanto riguarda l’Amazzonia, le forme di violenza più diffusa sono la tratta delle persone, “molto legata al tema delle migrazioni e allo sfruttamento sessuale delle donne”, e la violenza tra le mura domestiche, legata ad esempio all’alcolismo.
“Non esistono più queste pratiche”.
Mons. Santin ha risposto in maniera netta ad una domanda sulle pratiche di infanticidio tra gli indigeni dell’Amazzonia. Interpellato in materia durante il briefing, il presule ha citato l’esperienza degli indigeni Munduruku: “Sono una tribù molto bellicosa, un popolo di guerrieri: quando uccidevano qualcuno, gli tagliavano la testa e la portavano come un trofeo. Al momento della nascita, se un bambino era difettoso, avevano l’abitudine di tagliargli il collo e veniva ucciso immediatamente. Quando nascevano due gemelli, erano convinti che uno era il male e uno il bene, e così ne uccidevano uno o per non correre rischi li uccidevano entrambi. Lo stesso avveniva per un bambino nato da una ragazza madre, che per loro non aveva alcun valore”. “Oggi non esistono più queste pratiche”, ha assicurato il vescovo, che poi ha lanciato una provocazione: “E gli aborti nei Paesi civili? Sarebbe facile inorridire davanti a queste pratiche, quando negli ospedali si praticano tanti macelli”.
“Non si tratta solo di piantare alberi o raccogliere spazzatura”.
Così mons. Del Río ha risposto ad alcune domande dei giornalisti sulla questione ecologica. “Bisogna agire nell’ottica dell’ecologia integrale”, ha spiegato il presule, affermando che “le popolazioni indigene rischiano di sparire dall’Amazzonia, perché le multinazionali le fanno spostare dai loro luoghi d’origine”. “Spesso, quando firmano per le concessioni minerarie, lo fanno senza esserne consapevoli”, ha testimoniato a proposito dell’“inganno” di cui sono spesso preda gli indios: di qui la preziosa opera di “accompagnamento della Chiesa nei confronti delle popolazioni locali”.