Siamo tutti mendicanti. Davanti a Dio, dice Francesco, “tutti siamo poveri e bisognosi. Tutti siamo mendicanti”
Gesù, in mezzo al quadro apocalittico, “accende la speranza”, “spalanca l’orizzonte” e invita a leggere in modo diverso “le situazioni della nostra storia terrena”
“La guerra rende disumani, induce a tollerare crimini inaccettabili”, dice Papa Francesco che chiede, all’Angelus, di pregare per la fine dei conflitti in Ucraina, Palestina, Israele, Libano, Myanmar, Sudan: “i Governanti ascoltino il grido dei popoli che chiedono pace”.
Ma c’è un altro grido che chiede di essere ascoltato, è quello dei poveri: “lo dico alla Chiesa, lo dico ai Governi, lo dico alle Organizzazioni internazionali, lo dico a ciascuno e a tutti: per favore, non dimentichiamoci dei poveri”. Così nel messaggio per la Giornata scrive: Quanti nuovi poveri produce questa cattiva politica fatta con le armi, quante vittime innocenti”.
In Vaticano si celebra l’ottava giornata mondiale dedicata ai poveri, i quali hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio afferma Francesco che cita il cardinale Carlo Maria Martini arcivescovo di Milano, morto nel 2012: “dobbiamo stare attenti a pensare che c’è prima la Chiesa, già solida in sé stessa, e poi i poveri di cui scegliamo di occuparci. In realtà, si diventa Chiesa di Gesù nella misura in cui serviamo i poveri, perché solo così la Chiesa ‘diventa’ sé stessa, cioè casa aperta a tutti, luogo della compassione di Dio per la vita di ogni uomo”.
La giornata si è aperta con la simbolica benedizione di 13 chiavi che rappresentano i 13 Paesi in cui la Famvin Homeless Alliance, della Famiglia Vincenziana, ha avviato il Progetto “13 case” per il Giubileo, realizzando nuove abitazioni per i senzatetto e portare speranza alle famiglie vulnerabili. Nella basilica vaticana celebra messa prima del pranzo con 1.300 poveri, nell’Aula Paolo VI, organizzato dal Dicasteri per la carità.
Nell’omelia, prendendo spunto dal Vangelo di Marco – gli eventi riguardanti gli ultimi tempi, le cose ultime – il Papa invita a riflettere su due parole: angoscia e speranza. La prima è un sentimento diffuso nella nostra epoca “dove la comunicazione sociale amplifica problemi e ferite rendendo il mondo più insicuro e il futuro più incerto”. Se ci fermiamo alla sola cronaca dei fatti “vediamo la fame e la carestia che opprimono tanti fratelli e sorelle, che non hanno da mangiare, vediamo gli orrori della guerra e le morti innocenti; e, davanti a questo scenario, corriamo il rischio di sprofondare nello scoraggiamento e di non accorgerci della presenza di Dio dentro il dramma della storia”. In questo modo “ci condanniamo all’impotenza; vediamo crescere attorno a noi l’ingiustizia che provoca il dolore dei poveri, ma ci accodiamo alla corrente rassegnata di coloro che, per comodità o per pigrizia, pensano che il mondo va così e io non posso farci niente”. Ma Gesù, in mezzo al quadro apocalittico, “accende la speranza”, “spalanca l’orizzonte” e invita a leggere in modo diverso “le situazioni della nostra storia terrena: laddove sembra esserci soltanto ingiustizia, dolore e povertà, proprio in quel momento drammatico, il Signore si fa vicino per liberarci dalla schiavitù e far risplendere la vita”. Con le sue parole, afferma Francesco all’Angelus, “il Signore coglie l’occasione per offrirci una diversa chiave di lettura, dicendo: il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Quando attraversiamo crisi e fallimenti, quando vediamo “il dolore causato dalle guerre, dalle violenze, dalle calamità naturali, abbiamo la sensazione che tutto vada verso la fine, e avvertiamo che anche le cose più belle passano”. Ma crisi e fallimenti, anche se dolorosi, “sono importanti, perché ci insegnano a dare a ogni cosa il giusto peso, a non attaccare il cuore alle realtà di questo mondo, perché esse passeranno”. Restano le sue parole, l’invito “a fidarci del Vangelo, che contiene una promessa di salvezza e di eternità, e a non vivere più sotto l’angoscia della morte”. Infatti, mentre tutto passa, Cristo resta […] Alla luce di questa promessa di risurrezione, ogni realtà acquista un significato nuovo”.
Davanti a Dio “tutti siamo poveri e bisognosi. Tutti siamo mendicanti”.
La mentalità mondana, si legge nel messaggio per la Giornata, chiede di diventare qualcuno, farsi un nome a dispetto di tutti, “infrangendo regole sociali pur di giungere a conquistare ricchezza”. Ma “la felicità non si acquista calpestando il diritto e la dignità degli altri.