Sguardi di superficie e sguardi di profondità
Mentre la religiosità mira all’autoperfezionamento, la fede mi fa scoprire il Volto di qualcuno che mi ama, e ha preso l’iniziativa di venirmi a ripescare dalle mie tenebre, non restituendomi, bensì dandomi per la prima volta la vista vera, mentre io magari pensavo che neppure ci fossero alternative alla mia saccente cecità!
Nelle domeniche pari di Quaresima, specialmente nel ciclo A, si parla di sguardi, di apparenze e di verità celate sotto la superficie: è un modo per spiegare il motivo della penitenza, che non serve a esaltarsi per il superamento delle esigenze della natura (anche se da queste parti si ha l’impressione che il rischio di questo abbaglio non ci sia, vista la nostra abituale fiacchezza biopsichica), bensì per andare all’essenziale e, come ci ricorda il Piccolo Principe in uno dei suoi aforismi più citati “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Dunque bisogna ammettere di non vedere per poterlo vedere, e ci rimarrà nascosto finché ci diciamo di poterlo vedere, come avverte Gesù rivolto ai tronfi farisei: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane” (Gv 9, 41).
Sin dall’inizio del nostro percorso sulla Parola delle domeniche di questa Quaresima, e in particolare a riguardo della seconda e del nostro bisogno di uno sguardo di trasfigurazione, abbiamo detto che la lotta tra lo Spirito Santo e il tentatore in noi si può sintetizzare in una lotta tra punti di vista, tra sguardi, di cui uno solo può albergare nei nostri occhi, scacciando l’altro: se decidiamo di assumere il punto di vista del tentatore avremo una vista d’aquila sulle mancanze, e saremo al contempo privi di uno sguardo d’insieme, del tutto ciechi verso tutto quello che per quanto piccolo attualmente c’è; lo sguardo di Dio, di contro, vede solo quello che c’è, e non si fa catturare dalle ombre inconsistenti delle proiezioni, delle fissazioni, e degli spauracchi, cioè dalle illusioni che la paura, mossa dalla tentazione, suscita in noi. Guardare il mondo con gli occhi ciechi del nemico significa condannarsi a stare arenati sulla superficie delle cose, accontentandosi di impressioni confuse e reazioni di pancia; guardarlo con quelli di Dio significa poter attingere alla profondità, e vederlo, finalmente, questo “essenziale” di cui sopra, nascosto agli occhi di carne: “infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1 Sam 16, 7), come ci ricorda la prima lettura.
E cos’è, questo essenziale che i maestri della legge non riescono a vedere perché non vogliono, e che invece si dischiude allo sguardo neo-nato di un ragazzo cieco nato (perché di un ragazzo si tratta, il testo è chiaro a riguardo, anche se noi non lo “vediamo”…)?
L’essenziale è un Volto, cioè una relazione.
È un Volto, cioè una persona, che ci salva: non un sistema ideologico, una tecnica – neppure il nostro perbenismo o la nostra correttezza.
Mentre la religiosità mira all’autoperfezionamento, la fede mi fa scoprire il Volto di qualcuno che mi ama, e ha preso l’iniziativa di venirmi a ripescare dalle mie tenebre, non restituendomi, bensì dandomi per la prima volta la vista vera, mentre io magari pensavo che neppure ci fossero alternative alla mia saccente cecità! Ed ecco che scoprirsi amati, voluti, ripescati… ci mette in cammino, ci dà una chance di rilancio; ci sarà sempre chi proverà a buttarci fuori, perché la gioia spaventa chi si accontenta della tranquillità e delle sicurezze, ma meglio così: la frizione con i contesti della mentalità carnale, che ci porta a rotture lì per lì magari disorientanti, crea la possibilità di incontri nuovi, con persone altrettanto toccate e risanate dalla vita vera.
Alessandro Di Medio