Scende la notte sull’Europa? Le Chiese colgano l’opportunità per raccontare il Vangelo
I cristiani d’Europa, in particolare le Chiese, credo non colgano ancora pienamente l’opportunità che la stanchezza morale di un continente offre loro per raccontare il Vangelo in un modo più vicino alla realtà concreta e ai bisogni veri delle nostre comunità: il Vangelo non come fuga dalla realtà, ma come segno di una realtà spirituale più profonda che va oltre tutte le polemiche e che demitizza tutti i proclami roboanti.
Il Vangelo non cambierà certo la politica europea, ma può liberare i cittadini dalla preoccupazione di sentirsi sempre inadeguati, come molti astuti opinion leaders vorrebbero che si sentissero. La notte cade sulla nostra Europa? Forse, ma l’Europa non è un calcolo o una tassa da pagare: resta un vincolo e allo stesso tempo un sogno. Un vincolo che ha consentito settanta anni di pace e un sogno che permetterà ai giovani di ripensare a fondo la nostra democrazia
Vista dall’Italia di oggi, l’Unione europea sembra essere una nemica. Recenti indagini hanno mostrato che il sentimento pro Europa unita degli italiani è sceso sotto il 50% quando trent’anni fa era all’80% e il nostro Paese era tra i più europeisti del continente. Resta ancora forte il gradimento per l’euro, forse perché abbiamo memoria di quanto fragile fosse stata la lira negli ultimi decenni.
Che cosa è successo nella nostra coscienza collettiva per portarci in così poco tempo lontani dal mito europeo?
Che cosa ci ha fatto diventare così arrabbiati o così perplessi? Le cause sono molte: l’Italia in questi ultimi venti anni è cresciuta economicamente meno degli altri Paesi europei e l’ingiustizia sociale è aumentata; le questioni dell’immigrazione e della sicurezza hanno suscitato ansia e paura; la globalizzazione ha reso più incerta la nostra identità nazionale; l’Unione europea ha adottato una politica di austerità che ha penalizzato un Paese come il nostro. Noi italiani siamo in gran parte responsabili di questa situazione perché abbiamo creduto che l’integrazione europea avrebbe miracolosamente corretto molti nostri vizi nazionali ma è vero che il disagio contro Bruxelles cresce anche in paesi che stanno meglio di noi.
La cosa più importante oggi non è però l’economia, anche se tutti cercano di farcelo credere, ma qualche cosa di più profondo.
In tutta Europa sta rinascendo il nazionalismo e lo sforzo di molte forze politiche è quello di estirpare le radici del sentimento europeo che è nato alla fine della seconda guerra mondiale.
Chi ci governa ora pare essere in prima fila in questo progetto di destrutturazione dell’Europa. E’ solo propaganda? Non credo.
L’Europa comunitaria è entrata in una profonda crisi culturale e ideale. L’idea della crisi ha sempre accompagnato la storia europea, ma oggi stiamo andando oltre, perché stiamo rispondendo alle difficoltà della politica europea con modalità di cui non siamo più padroni, ma solo replicanti: populismi, nazionalismi, sovranismi, sono forme di una storia politica che precede addirittura la Rivoluzione francese e che ci trovano impreparati, dopo decenni di ricchezza e di pace. Replichiamo l’antico senza conoscerlo; assistiamo senza batter ciglio all’affermarsi di forme totalitarie ed imperiali di democrazia; crediamo di poter fare senza la storia, come apprendisti stregoni che miscelano alleanze o insulti in pozioni miracolose. Reagiamo abbandonando il campo di battaglia, come hanno deciso gli inglesi con la Brexit e come si preparano a fare altri popoli.
Il punto è tutto qui:
la crisi dell’Europa non è una crisi di crescita, ma una ritirata morale di fronte a noi stessi.
E’ una ritirata dell’anima, un rifiuto di accettare ciò che siamo diventati: un continente governato dal rancore e gestito da classi dirigenti improvvisate. I governi che ci guidano sono tra i più “materialisti” che si siano visti: tutti concentrati a dare e a togliere, a premiare o a punire, a condonare o ad inasprire pene, senza aiutarci a cercare, dietro le soluzioni tecniche, un’idea – una visione – della vita comune. La mancanza di coraggio di sperimentare nuove forme di convivenza è il segno della nostra stanchezza, e il linguaggio sempre più violento nelle relazioni politiche è il segno di una pulsione distruttiva che fa pensare. La crisi dell’Europa è prima di tutto un problema morale:
le basi della democrazia non possono essere nella democrazia come semplice forma di governo, ma in ciò di cui essa è al servizio, in valori e idee che sono prima di ogni maggioranza politica. Che sono anzi le idee e le convinzioni che ci devono aiutare nel giudicare coloro che ci guidano e nell’avere rispetto anche dei limiti della politica, che non può tutto.
Dove trarre la forza morale per non disperare? Dove trovare la forza per lottare, anche da posizioni di minoranza? Negli ideali, ma quali? Nell’amore, ma come? I cristiani d’Europa, in particolare le Chiese, credo non colgano ancora pienamente l’opportunità che la stanchezza morale di un continente offre loro per raccontare il Vangelo in un modo più vicino alla realtà concreta e ai bisogni veri delle nostre comunità: il Vangelo non come fuga dalla realtà, ma come segno di una realtà spirituale più profonda che va oltre tutte le polemiche e che demitizza tutti i proclami roboanti. Il Vangelo non cambierà certo la politica europea, ma può liberare i cittadini dalla preoccupazione di sentirsi sempre inadeguati, come molti astuti opinion leaders vorrebbero che si sentissero. La notte cade sulla nostra Europa? Forse, ma l’Europa non è un calcolo o una tassa da pagare: resta un vincolo e allo stesso tempo un sogno. Un vincolo che ha consentito settanta anni di pace e un sogno che permetterà ai giovani di ripensare a fondo la nostra democrazia.