Saper contare. Il senso dei numeri negli animali
Gli animali, di varie classi e specie, durante le loro attività vitali eseguono costantemente calcoli di ogni tipo.
Sono tanti i fenomeni in natura che avvengono costantemente sotto i nostri occhi, senza che ne abbiamo consapevolezza. Ad esempio, potremmo non aver mai prestato attenzione al fatto che gli animali, di varie classi e specie, durante le loro attività vitali eseguono costantemente calcoli di ogni tipo. Essi stimano durate, quantità e grandezze; sono in grado di rappresentarsi e maneggiare grandezze discrete (es. le numerosità) e continue (come spazio e tempo); sono capaci di sommare e sottrarre, calcolando rapporti e probabilità. Allo stesso modo, mostrano di poter valutare la bontà di una fonte di cibo semplicemente stimando il rapporto tra la sua quantità e il tempo speso per ottenerlo. Questa abilità permette agli animali di prendere decisioni in ogni ambito, dalla riproduzione, al procacciamento del cibo, alla caccia, alla difesa del territorio; basti pensare, ad esempio, a tutti quei contesti in cui contarsi è cruciale per decidere se provare o meno un attacco di gruppo contro una preda, o contro un branco alla ricerca di nuovi spazi in cui insediarsi.
Finora gli studiosi hanno potuto osservare e analizzare le “prodezze aritmetiche” degli animali, sia in natura che in cattività (in condizioni, quindi, altamente controllate), in alcune specie: polpi e calamari, api e vespe, rane e polli, piccioni e pappagalli, topi, orsi e leoni, cetacei e scimmie. Ma con il progredire delle ricerche, ovviamente, i membri del club degli “animali calcolatori” è destinato ad aumentare. Certamente, un dato interessante che salta all’occhio degli studiosi è il fatto che si tratta di specie filogeneticamente molto distanti tra loro, che si sono evolute in parallelo in modo indipendente l’una dall’altra.
Dunque, l’elemento comune a tutte esse – esseri umani inclusi – è la presenza del cosiddetto “senso del numero” (“number sense” o “approximate number system”), ovvero la capacità di rappresentare e confrontare numerosità approssimative e di eseguire calcoli aritmetici con esse. Questa abilità entra in gioco ogni volta che osserviamo rapidamente un insieme di oggetti e riusciamo a stimare la sua numerosità a occhio, senza contare, e a distinguere il maggiore tra due insiemi. Tale capacità di rappresentazione non simbolica dei numeri è un meccanismo altamente conservato nell’evoluzione, con alcune caratteristiche tipiche, come l’essere più preciso all’aumentare della differenza delle numerosità (effetto della distanza) e al diminuire delle grandezze (effetto grandezza). Inoltre, funziona in modo indipendente dalla modalità sensoriale coinvolta. Per un leone nella savana, ad esempio, vedere tre sagome o sentire tre ruggiti di altrettanti leoni non fa alcuna differenza per le decisioni da prendere: nella sua percezione, sempre di tre leoni si tratta!
Di fronte a questa stupefacente capacità del regno animale, gli studiosi continuano ad interrogarsi su quali siano le sue reali basi neurobiologiche; ne è esempio una recente revisione (pubblicata su “Frontiers in Psychology”) ad opera di Elena Lorenzi, Matilde Perrino e Giorgio Vallortigara dell’Università di Trento.
Ancora una volta, i ricercatori evidenziano come la presenza negli animali del senso del numero (su cui si basa il nostro linguaggio matematico formale e simbolico) sia fondamentale in termini di vantaggi di sopravvivenza e di riproduzione, entrambe garanzie per la continuità della specie. Al tempo stesso, però, sorge un grande interrogativo sulle sue basi biologiche. Le api, per esempio, mostrano di poter sommare e sottrarre (oltre ad avere il concetto di zero) punti di riferimento che incontrano sulla strada verso il polline, per poi tornare con sicurezza all’alveare. Il punto è che, se l’ultimo antenato comune a uccelli e mammiferi risale a 320 milioni anni fa, per trovare quello in comune con le api bisogna risalite addirittura a 600 milioni di anni fa. “I cervelli di queste specie così lontanamente imparentate differiscono radicalmente nella loro complessità, nei loro meccanismi e nella loro organizzazione. Quindi – si chiede Andreas Nieder, neurofisiologo dell’Università di Tubinga, in una revisione degli studi sull’argomento apparsa su “Trends in Ecology and Evolution” – come è possibile che tutti questi cervelli diversi possano dare origine a un simile senso del numero?”.
Un’ipotesi avanzata dagli studiosi è che potrebbe trattarsi di un tratto omologo: il senso del numero e le relative capacità potrebbero essere stati presenti nell’antenato comune a tutti e, in questo caso, ci si dovrebbe attendere la presenza in tutte le specie delle stesse strutture cerebrali da cui sono emerse le competenze numeriche. Oppure, in alternativa, potrebbe trattarsi della cosiddetta convergenza evolutiva, che è la comparsa di un tratto in modo indipendente in specie diverse sotto la pressione di spinte evolutive simili. A favore di questa seconda ipotesi si schiera Vallortigara: “Sembra probabile che si tratti di convergenza evolutiva perché alcune delle aree del cervello implicate nella cognizione del numero, per esempio il nidopallio caudolaterale nei corvi, sono un equivalente della corteccia prefrontale dei mammiferi, ma non un suo omologo, cioè una struttura ereditata da un antenato comune a mammiferi e uccelli”.
In ogni caso, “quello che dobbiamo capire – aggiunge Vallortigara – è come, a partire dai segnali fisici rilevati dagli organi di senso, unità distinte che si segregano nel campo percettivo, come una manciata di puntini sullo schermo di un calcolatore, venga costruita quella nozione astratta che chiamiamo numero”.
Quello che al momento appare chiaro ai ricercatori è che non serve ragionare su reti complesse o cervelli sofisticati per maneggiare le numerosità. Una manciata di neuroni può bastare, come confermano anche gli studi con le reti neuronali artificiali.