Salute e benessere psicofisico. Sull'educazione alla salute bisogna ancora lavorare molto e a fondo
Pochi in quasi tutti i Paesi del mondo gli investimenti riservati ai giovani, o comunque non adeguati e allineati a politiche “lungimiranti”.
Il 7 aprile si celebra la Giornata mondiale della Salute (World Health Day), la cui prima edizione risale al 1950. Negli ultimi due anni, ancor più che nei precedenti, l’appuntamento assume una valenza particolarmente importante, soprattutto tra i giovani.
Sull’educazione alla salute bisogna ancora lavorare molto e a fondo, anche se l’emergenza pandemia Covid19 ha recentemente spostato l’asse di tutte le nostre attività sul tema della sicurezza sanitaria. Il fronte, però, resta aperto. Nelle famiglie e nelle agenzie educative, prime fra tutte la scuola, occorrono degli interventi progettuali e a lungo termine, serve un approccio “life course”.
La salute e il benessere psicofisico dei giovani rientrano, tra l’altro, negli obiettivi dell’educazione alla cittadinanza e della prevenzione e contrasto alla povertà educativa. Sono inoltre tra i “goals” dell’Agenda 2030 dell’Unione europea.
Le criticità da sanare sono ancora molte. Nell’indagine, elaborata dallo studio internazionale Hbsc – Health Behaviour in School-aged Children e pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) nel maggio 2020, sono raccolti dati riferiti a 45 Paesi del mondo.
Le riflessioni riguardano diversi ambiti, per esempio quello alimentare. Gran parte dei nostri giovani non osserva una dieta bilanciata, salta pasti importanti come la colazione, non mangia frutta e verdura e consuma in maniera eccessiva bevande zuccherate-gassate. Sono ancora molto diffusi disturbi come anoressia, bulimia e “binge eating disorder” (disordine da alimentazione incontrollata), collegati a stati depressivi o a disagio psicologico.
Buone notizie, invece, sul trend dell’uso di sostanze: fumo di sigaretta, consumo di alcol e cannabis pare siano in calo, resta importante il dato relativo al consumo di alcol.
L’attività fisica quotidiana, soprattutto a causa dello stop forzato della pandemia, rimane un campo prioritario di intervento, in quanto solo il 19% degli adolescenti raggiunge il livello giornaliero raccomandato dall’Oms (60 minuti al giorno). La tendenza all’immobilismo è, inoltre, ampliata dall’uso/abuso dei social e della tecnologia, che tende a inchiodare i ragazzi nelle proprie stanze.
Lo stile di vita degli adolescenti, dunque, deve essere migliorato, come pure il rapporto con lo studio. Le medie europee registrano tassi di dispersione e abbandono scolastico ancora troppo elevati. In molti casi, le ragioni sono legate a svantaggio ambientale e sociale, oppure a scelte di percorsi non ben calibrate sulle attitudini e le vocazioni degli studenti.
La fragilità degli adolescenti è stata poi amplificata dall’onda lunga del Covid19. Sono cresciuti in maniera esponenziale i disagi psicologici, la tendenza all’irritabilità e i disturbi del sonno. La DaD non ha certo agevolato il percorso di studio, il più delle volte lo ha falsato e privato di molte possibilità.
La famiglia per la maggior parte dei giovani, continua a essere il luogo più sicuro, sia dal punto di vista affettivo che materiale. Un dato positivo, ma che a lungo termine si rivela una “trappola”: uscire dal nido e affrontare la vita reale diventa sempre più faticoso e angosciante per loro.
Pochi in quasi tutti i Paesi del mondo gli investimenti riservati ai giovani, o comunque non adeguati e allineati a politiche “lungimiranti”. L’educazione sembra ancora un fatto riservato alle famiglie, alla scuola e agli enti ricreativi, sportivi o di volontariato. Manca la visione necessaria di “comunità educante”, o meglio di “comunità che cresce”.
Lo sguardo è unidimensionale, fisso su un presente “utilitaristico” e liquido. Questo il baco sociale più importante: la mancanza di prospettiva taglia le gambe ai sogni e alle speranze. L’impatto devastante del consumismo colma i nostri figli di desideri “usa e getta”, forme di consolazione e di stordimento che nascondono le lacune di una società dal respiro corto (e non a causa del Covid).