Riso italiano in Cina. Un accordo importante, ma i commerci alimentari mondiali si fanno più complessi
Quanto raggiunto con la Cina potrebbe davvero aprire la strada ad altre intese notevoli per il nostro Paese.
Il riso italiano potrà essere venduto in Cina. Passo importante per l’agroalimentare nazionale, soprattutto in vista della ripresa dei commerci internazionali, adesso rallentati e quasi congelati dalla pandemia di Covid-19. Passo – per certi versi -, anche storico, viste le difficoltà (in parte ancora ben presenti), che da sempre ci sono state nei confronti di uno dei più importanti mercati mondiali. Senza dire della svolta, anch’essa dal sapore epocale, che l’intesa raggiunta con Pechino comporta: la possibilità data ai risicoltori italiani di vendere i propri chicchi ai cinesi.
I termini della notizia sono semplici. Il ministero per le politiche agricole, attraverso l’ambasciatore italiano in Cina, ha sottoscritto, con l’Amministrazione generale delle Dogane della Repubblica popolare cinese, due protocolli che permettono l’esportazione di carne bovina e riso italiani. Si tratta di un indubbio successo per il nostro Paese. Ha ragione, quindi, Teresa Bellanova, attuale ministro dell’agricoltura, nell’affermare che quanto fatto “è un accordo rilevante a cui tenevamo in modo particolare”, non solo perché arriva alla fine di un lungo negoziato tecnico e politico, ma anche perché pone le basi per altre intese. Il punto cruciale, infatti, è che occorre superare gli ostacoli tecnici alle esportazioni italiane per provare a riequilibrare i rapporti commerciali nell’agroalimentare con le importazioni dalla Cina che – ricorda Coldiretti – sono pari a 667 milioni nel 2019, nettamente superiori alle esportazioni nazionali che hanno raggiunto i 477 milioni nello stesso anno.
Condizione che vale anche per altri prodotti e altri mercati. Le distorsioni nei grandi commerci internazionali, infatti, si basano su volontà politiche celate dietro a problemi tecnici (e sanitari per l’alimentare). Per questo, per esempio, Confagricoltura parlando di quanto raggiunto con la Cina, ha sottolineato che “una volta superata l’emergenza Coronavirus potremo mettere a frutto il lavoro svolto con le autorità cinesi per aprire un ulteriore dialogo con un altro mercato importante, quale l’India”.
Buona cosa, quindi, l’intesa con Pechino. Anche per altri motivi. I grandi scambi agroalimentari non sono quelli fondati solamente sulle produzioni tipiche, sui vini blasonati e sui prodotti a denominazione di origine (che pure tanto fanno per il buon nome dell’agroalimentare italiano nel mondo). Cereali, carni, latte continuano ad essere parte importante dei commerci agroalimentari nel mondo. Ed è proprio in questi ambiti che occorre essere presenti. Ed è qui che le difficoltà possono farsi pesanti. Proprio l’emergenza Covid-19 ha fornito più di un esempio in questo senso. I coltivatori diretti, parlano addirittura di un sconvolgimento del mercato agroalimentare mondiale “dove si riducono i commerci con fluttuazioni violente dei prezzi e carenze per alcune categorie di prodotto”. L’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), indica già un crollo tra il 13% e il 32% degli scambi internazionali nel 2020. Gli agricoltori dicono di una “una tempesta che investe in pieno le grandi commodities agricole con un numero crescente di Paesi che cerca di garantire prima di tutto l’approvvigionamento della propria popolazione, considerando il cibo un elemento di interesse strategico nazionale come la difesa, la sanità e le comunicazioni”.
Insomma, quanto raggiunto con la Cina potrebbe davvero aprire la strada ad altre intese notevoli per il nostro Paese. E’ necessario tuttavia porre attenzione alla complessità dell’assetto agroalimentare mondiale, scosso adesso da Covid-19 ma anche da speculazioni precedenti la pandemia e che dopo l’emergenza dovrà cercare nuovi equilibri. L’Italia e l’Europa devono continuare a farsi spazio in uno scenario che potrebbe assumere un’importanza ancora più forte rispetto ad oggi.