Quaresima e Coronavirus: domande a ciascuno di noi
Il viola plumbeo del deserto e della serietà necessaria arriverà a circondarci e forse a opprimerci con i toni del pericolo e dell’abbandono; quando per un istante apparirà il bianco candido dell’amore, dell’amicizia e del pane condiviso, fin troppo presto esso annegherà nel rosso silenzioso e tragico della violenza e di una condanna che inchioda e che sembrerà zittire nel buio la speranza… ma il bianco tornerà a sfolgorare, la speranza rifiorirà, vincerà, alla fine, la luce
Scegliere di vivere da credenti significa farsi interpellare dalla vita, in cui si riconosce una Parola che Dio ci rivolge, ma la vita parla sempre al presente, perché la vita c’è.
Il nostro presente è nella crisi del coronavirus e, sebbene siamo avviluppati dalla caligine che rende incerti i contorni del futuro, anche da questa situazione possiamo e dobbiamo farci interpellare, per rispondere in modo sapiente, cioè al passo con i ritmi del Verbo che tiene in mano tutte le cose, anche quelle che non ci piacciono, e tutte conduce all’amore del Padre.
Ho deciso di concludere pertanto questo percorso quaresimale, che ci ha portati alle soglie della Settimana Santa, con le domande che il nostro presente pone a me, dopo avere provato a esprimere alcune delle domande che esso pone inevitabilmente alla società civile e alla Chiesa. Ovviamente queste domande non le pone a me soltanto, ma non ho la pretesa che alcuno se ne senta interpellato allo stesso modo, o che le ritrovi tutte dentro di sé.
Qual è lo specifico del prete, oggi? Cosa è giusto che la gente si aspetti da lui?
Sbarrato l’accesso alle celebrazioni liturgiche, chiusi gli oratori, saltate le agende, i preti anziché incrociare le braccia hanno centuplicato i loro sforzi per predicare, insegnare, tenere corsi di esercizi, organizzare momenti di preghiera, confortare gli afflitti; quasi a ogni ora è possibile trovare (e capita solo ora, nei giorni del coronavirus!) Messe in streaming, appuntamenti di adorazione eucaristica, tutorial sulla liturgia, introduzioni alla preghiera… e la gente sta rispondendo con gratitudine, non sentendosi abbandonata.
Per non parlare dei preti (e dei Vescovi, e dei Cardinali) infettati dal virus per la loro fedeltà al ministero, dei preti intubati, dei preti morti.
La crisi attuale, spogliando i sacerdoti di tanti doveri di mantenimento dell’abituale, sta facendo brillare in modo luminoso i tre munera del prete pastore del suo gregge, maestro di preghiera, officiante dei divini misteri in rappresentanza di tutto il popolo.
Domenica scorsa una mamma, dopo un momento di adorazione organizzato in streaming con i bambini della Prima Comunione, mi ha scritto in un messaggio: “M. [la figlia di 9 anni] mi ha detto che don Alessandro è come Gesù, vuole bene a tutti noi e prega per noi”.
C’è altro da aggiungere sulla percezione dei fedeli circa l’essenziale del sacerdozio ministeriale?
Se la prima domanda me la sono posta da prete, le altre, più semplicemente, me le pongo da uomo che, come tutti, dovrà affrontare gli incerti giorni a venire un passo alla volta. Spero che possano stimolare qualche riflessione utile almeno per qualcuno.
Chi sarà la prima persona che vorrò riabbracciare quando finirà la quarantena?
Questo digiuno quaresimale dal contatto ci induce inevitabilmente a esaminare le nostre relazioni, mettendo in evidenza quelle che per noi, alla fin fine, risultano le più vitali. Speriamo di non dimenticarcene, dopo.
Qual è la cosa che mi fa davvero più paura di tutta questa vicenda?
Questa domanda in un certo senso è la medesima di prima sotto un’angolatura più cupa, quella della paura della perdita. Oppure può stanare altre paure recondite in noi, che pure magari ci diciamo solidamente credenti. Bene, facciamole uscire tutte queste paure, chiamiamole per nome, e decidiamoci ad affrontarle con le armi della fede, della speranza, dell’abbandono nelle mani di Dio. Potremmo vincerle.
Ho davvero voglia di tornare alla normalità?
Una domanda sorprendente, che un po’ mi fa arrossire di vergogna, soprattutto se penso ai poveri morti, ai medici e agli infermieri in trincea, alla crisi economica che sta per arrivare… eppure, non è un caso che questa sia la domanda che più volte in questi giorni ho sentito formulare anche da altri. La verità è che eravamo troppo abituati allo stress, a vite alienate sempre di corsa, ad affetti familiari visti solo la sera o nel weekend. Come sarebbe bello poter portare con sé gli spazi di novità acquisiti, una volta che avremo superato la crisi!
E ora, avviamoci verso la Settimana Santa: studiamo attentamente i testi che liturgia ci proporrà, contempliamo con gli occhi del cuore le scene che essi dipingeranno in noi… il viola plumbeo del deserto e della serietà necessaria arriverà a circondarci e forse a opprimerci con i toni del pericolo e dell’abbandono; quando per un istante apparirà il bianco candido dell’amore, dell’amicizia e del pane condiviso, fin troppo presto esso annegherà nel rosso silenzioso e tragico della violenza e di una condanna che inchioda e che sembrerà zittire nel buio la speranza… ma il bianco tornerà a sfolgorare, la speranza rifiorirà, vincerà, alla fine, la luce.
Se vorremo interpretare la nostra vita come una liturgia, potremo accettare che tutti i colori che la tingono danno gloria a Dio, e rivelano la nostra inalienabile dignità.
Alessandro Di Medio