Quando il Vangelo è scomodo: il presepe una risposta al "sovranismo psichico"
Il presepe può scuotere le coscienze per non far restare indifferenti di fronte alla disumanità di certe scelte e insegnando a portare dentro di sé gli altri.
L’avvicinarsi del Natale ci offre lo spunto per ritornare sulle polemiche, piuttosto forzose, dei giorni scorsi sul presepe, polemiche che non intendiamo alimentare, ma sulle quali alcune sottolineature crediamo vadano fatte. Per noi il presepe va fatto in ogni famiglia, per il significato forte che esprime e non per significare esternamente la storica tradizionale nostra “cattolicità”. Siamo in sintonia con il vescovo Claudio quando afferma che «il richiamo del presepe non verrà mai realizzato pienamente; i simboli vengono usati per indicare una direzione, un cammino». Come cristiani siamo chiamati a una maggiore coerenza nella vita quotidiana e nelle scelte che siamo chiamati a fare, interpellati e interrogati proprio dal Bambino del presepe. E se qualcuno ce lo ricorda, magari in forma provocatoria, facciamone tesoro e parliamone serenamente, senza fare crociate.
Il presepe è segno di amore universale e apertura accogliente verso tutti gli uomini. È un simbolo forte che va vissuto nel suo profondo significato di vera umanità. Quando si rifiuta l’umano si rifiuta di fatto il Vangelo. È la provocazione di questa umanità che deve scuotere le nostre coscienze e non farci stare indifferenti o silenziosi di fronte a certe scelte politiche di “disumanità”.
Sono riflessioni che al nostro interno e nei circoli dobbiamo sviluppare, ben consapevoli che siamo un movimento educativo con una mission ben definita e, a maggior ragione, perché ci troviamo a operare in un contesto in cui, si veda l’ultimo rapporto Censis, si delinea il ritratto di un Paese in declino, in cerca di sicurezza che non trova, con gli italiani sempre più disorientati, arrabbiati e intolleranti sino alla cattiveria.
Se il 2017 era stato l’anno del “rancore”, il 2018 è quello del “sovranismo psichico” che si è installato nelle teste degli italiani e che addebita minacce vere o presunte alla progressiva perdita di sovranità nazionale, con il risultato di un crescente “rifiuto dell’altro” e degli immigrati in particolare. Un quadro che non lascia presagire nulla di buono per il futuro; anzi c’è la sensazione di “una deriva verso il peggio”.
Come possono muoversi le Acli in questo contesto? Dando seguito e sviluppando il lavoro già avviato di presenza attiva sul territorio e di impegno sociale organizzato. Mi sento di condividere quanto scriveva nell’ultimo numero della Difesa Stefano Bertin: «Oggi, più che mai, c’è urgente bisogno di una aggiunta di partecipazione e di senso di appartenenza. Quest’ultima, cantava qualcuno, significa avere gli altri dentro di noi». Ecco perché l’appuntamento della prossima primavera con le elezioni europee diventa fondamentale; è in gioco il futuro della nostra democrazia. Avanti, diamoci dentro. Buon Natale.
Gianni Cremonese
presidente Acli Padova