Prevenire il bullismo. L’alfabetizzazione emotiva è un altro passaggio essenziale nel percorso di prevenzione al bullismo
Quando si parla di bullismo, in genere, l’attenzione viene puntata sull’episodio in sé, si tende a tracciare una sorta di confine fra “buoni” e “cattivi” ragazzi.
Si celebra in questi giorni un processo relativo ad abusi e atti di bullismo avvenuti alcuni anni fa a Torino in una scuola secondaria di primo grado. All’origine del procedimento penale sarebbero le testimonianze di diversi alunni di una seconda media che, in occasione di un tema assegnato in classe sull’uguaglianza, hanno raccontato per iscritto come un compagno disabile venisse quotidianamente vessato e molestato da un bullo. Il povero ragazzo, affetto da encefalomalacia, sarebbe stato preso di mira continuamente con sputi, schiaffi, pizzicotti e perfino gesti osceni e pare che i docenti non siano intervenuti in maniera efficace per fermare quegli abusi.
Sul banco degli imputati gli insegnanti sono stati chiamati a rispondere dell’accusa di “atti persecutori per omesso controllo”. Quella che in altri termini, sempre giuridici, viene anche definita “culpa in vigilando”.
In margine all’episodio le riflessioni da fare sono molteplici. La più immediata riguarda proprio il ruolo della scuola come comunità educante. Quando si parla di bullismo, in genere, l’attenzione viene puntata sull’episodio in sé, si tende a tracciare una sorta di confine fra “buoni” e “cattivi” ragazzi, senza pensare che certe dinamiche non si generano in maniera estemporanea ma si consolidano nel tempo, spesso alimentate dall’indifferenza del contesto. Non si considera, inoltre, che i protagonisti dei fatti non sono altro che il prodotto dei percorsi educativi attivati dagli adulti.
Alla radice del fenomeno del bullismo c’è sempre una cattiva gestione del principio di autorità, una “disfunzione etica” dovuta a un eccessivo gerarchismo o anarchismo, a un sistema disciplinare non interiorizzato e a un senso di giustizia che non viene percepito in maniera corretta. Il bullo, poi, tende a emergere in una struttura di relazioni non aggreganti o spersonalizzanti, laddove manca il senso della comunità e si evidenzia quindi una vera e propria “disfuzione sociale”.
È riduttivo ritenere che le responsabilità degli adulti siano riconducibili a una inadeguata “vigilanza”. Le strategie di contrasto e prevenzione al bullismo, infatti, non possono essere affidate alle iniziative individuali dei docenti. Esse riguardano l’intera istituzione scolastica e passano attraverso la cura della comunicazione tra educatori e pari, l’alfabetizzazione emotiva degli alunni e si realizzano mediante la costruzione di un’etica condivisa.
Per quanto riguarda la comunicazione il lavoro che la scuola è chiamata a fare è enorme. Ci sono delle evidenti carenze fra i giovani (ma anche fra gli adulti, per la verità), dovute in parte a una cattiva conoscenza della lingua italiana, ma soprattutto alle fuorvianti modalità di interazione che quotidianamente i ragazzi apprendono sui socialmedia, dove la tendenza all’aggressione verbale e alla polemica fine a se stessa imperano. Sono poco presenti, inoltre, interventi educativi che insegnino il confronto e l’autorevolezza delle parole.
L’alfabetizzazione emotiva è un altro passaggio essenziale nel percorso di prevenzione al bullismo. Gli insegnanti sono chiamati a sollecitare negli alunni la capacità empatica e la disponibilità all’ascolto attivo dell’altro, ma soprattutto hanno il dovere di renderli consapevoli delle proprie responsabilità emotive nei confronti di se stessi e dei pari.
In ogni caso la comunicazione e l’alfabetizzazione emotiva non funzionano se non sono inquadrati in uno sfondo di riferimento etico, dove i discenti possano riconoscersi in regole condivise e obiettivi comuni. Dove ciascuno si senta tutelato dal sistema costruito assieme agli altri e sappia distinguere la regola dall’arbitrio, la giustizia dal giustizialismo, l’autorevolezza dall’autoritarismo e sia messo, infine, nelle condizioni di comprendere ed esercitare il proprio senso di responsabilità.
I primi mesi di scuola, dunque, sono preziosi per avviare politiche di prevenzione e contrasto al bullismo che possano davvero inibire questo fenomeno dilagante e realizzare progetti efficaci di cittadinanza e convivenza civile.