Papa a Cinecittà. Mons. Viganò: “Indica una via per il prossimo futuro”

“La visita di Papa Francesco a Cinecittà – che lo vedrà anche passare accanto al Teatro 5, dove Fellini amava girare – ci richiama direttamente a questi episodi del passato e, allo stesso tempo, indica una via per il futuro: la necessità di riflettere e ripensare le sfide che la Chiesa indica come urgenti per il mondo degli artisti e della cultura in generale”. A spiegarlo al Sir è mons. Dario Edoardo Viganò, vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che, in vista del Giubileo degli artisti – durante il quale Bergoglio si recherà negli “studios” della Capitale – ripercorre il rapporto tra i papi e il cinema, soffermandosi sul modo del tutto peculiare con cui Papa Francesco lo interpreta

Papa a Cinecittà. Mons. Viganò: “Indica una via per il prossimo futuro”

“La visita di papa Francesco a Cinecittà – che lo vedrà anche passare accanto al Teatro 5 dove Fellini amava girare – ci richiama direttamente a questi episodi del passato e allo stesso modo indica una via per il prossimo futuro: la necessità di riflettere e ripensare anche a quel complesso di sfide che la Chiesa indica come urgenti al mondo degli artisti e della cultura in genere”. A spiegarlo al Sir è mons. Dario Edoardo Viganò, vicecancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, che in vista del Giubileo degli artisti, durante il quale Bergoglio si recherà agli “sudios” della Capitale, ripercorre il rapporto tra i papi e il cinema e il modo del tutto peculiare in cui lo declina il papa argentino.

 Il 17 febbraio Papa Francesco visiterà gli “studios” di Cinecittà. È un’altra delle “prime volte” a cui ci ha ormai abituato. Che valore ha questo gesto, e come si svolgerà la visita?

Senza dubbio una “prima volta” in ambito italiano, non un unicum, però, nella storia del rapporto tra Chiesa e cinema. Si pensi che Giovanni Paolo II, rivelando la volontà di non trascurare le potenzialità del mezzo cinematografico per la diffusione del messaggio cristiano in tutto il mondo, decise di recarsi a Hollywood nel 1987. Fu un appuntamento fortemente voluto dal pontefice nell’ambito del suo 36° viaggio apostolico oltre i confini italiani e, presso il salone del «Registry Hotel» di Los Angeles, Wojtyła fu accolto da Lew Wasserman, tra i maggiori studio executive di Hollywood, da rappresentanti della «Catholich News Network» e dall’Arcivescovo di Los Angeles, Monsignor Roger Michael Mahony. In tutto parteciparono oltre 1200 operatori dell’industria americana dei mass media, tra questi ci furono anche molti attori, registi e produttori. In uno dei passaggi centrali Giovanni Paolo II chiamò il mondo di Hollywood a raccolta attorno alla missione evangelizzatrice della Chiesa: «La Chiesa desidera che sappiate che è dalla vostra parte. Per lungo tempo è stata patrona e sostenitrice delle arti. […] Anche oggi la Chiesa è pronta ad aiutarvi con il suo incoraggiamento e a sostenervi in tutti i vostri nobili obiettivi. Essa vi offre la sua sfida e la sua preghiera». Ma già prima di lui altri pontefici avevano avuto incontri diretti con il mondo del cinema: Pio XII, che durante il Giubileo del 1950 incontrò Totò, Aldo Fabrizi e Macario, nel 1945 concesse un’udienza ai membri del Motion Picture Executive Comittee of Hollywood; Paolo VI, che vantava duraturi rapporti con grandi registi (Zeffirelli e Rossellini), nel maggio del 1967 ricevette in Vaticano i professionisti della stampa, del cinema, della radio e della televisione, proprio in occasione della prima Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali; Giovanni Paolo II nel 1999 volle incontrare Roberto Benigni con il quale condivise la visione del film La vita è bella presso la Sala Deskur della Filmoteca Vaticana, mentre l’anno seguente vide Alberto Sordi e Monica Vitti in occasione del Giubileo dello spettacolo in piazza San Pietro.

La visita di papa Francesco a Cinecittà – che lo vedrà anche passare accanto al Teatro 5 dove Fellini amava girare – ci richiama direttamente a questi episodi del passato e allo stesso modo indica una via per il prossimo futuro: la necessità di riflettere e ripensare anche a quel complesso di sfide che la Chiesa indica come urgenti al mondo degli artisti e della cultura in genere. 

Con il pontificato di Bergoglio il cinema è entrato a pieno titolo come soggetto, e non solo oggetto, del magistero. Ma l’attenzione dei pontefici alla “settima arte” ha radici che vengono da lontano…

Il rapporto che lega la Chiesa cattolica e il cinema ha avuto un suo primo atto alla fine dell’Ottocento con la benedizione di Leone XIII, ripresa da William Kennedy Laurie Dickson nei cortili e nei palazzi vaticani con una macchina da presa dell’American Biograph and Mutoscope, agli operatori e al nuovo strumento cinematografico, ma, in forma simbolica, su coloro che al di là dell’obiettivo avrebbero potuto vedere quanto ripreso. Proprio a partire da questo evento, infatti, la Santa Sede diresse il proprio impegno nell’elaborazione di una doppia strategia che accompagnò per un lungo periodo il suo confronto con i mezzi di comunicazione di massa: da una parte la legittimazione e il sostegno allo sviluppo dei nuovi media, pensati soprattutto come strumento educativo, dall’altra la costante preoccupazione morale volta a sostenere una generale cristianizzazione della società.

L’evoluzione dell’atteggiamento della Chiesa cattolica verso i media si è poi basata su di un progressivo allargamento dello sguardo delle prospettive e a una sempre più manifesta strategia positiva e propositiva verso i media tesa ad adeguare il messaggio della Chiesa per una società nel pieno di mutamenti epocali.

Si tratta dei segni più evidenti di quel cammino di maturazione nella consapevolezza di che cosa rappresentassero i media di massa nell’evoluzione sociale e antropologica del contesto contemporaneo, che la Chiesa avrebbe saputo rielaborare più compiutamente in un vero e proprio cambio di paradigma verso il sistema comunicativo solo dopo la svolta del Concilio Vaticano II. I numerosi riferimenti di papa Francesco al cinema nei suoi discorsi, omelie e persino nelle encicliche rappresentano dunque l’ultima tappa di questo lungo percorso che ha portato l’atteggiamento della Chiesa verso la settima arte a superare, non senza difficoltà, la diffidenza che ha accompagnato per lungo tempo il confronto con questo strumento, da sempre fonte di preoccupazione nel quadro di una più generale condanna della modernità.

È nota la predilezione del papa argentino per il cinema neorealista, citato a più riprese in documenti e discorsi ed illustrata nel dettaglio nell’intervista che le ha rilasciato nel suo libro “Lo sguardo: porta del cuore. Il neorealismo tra memoria e attualità”. In che modo si lega ai temi portanti del pontificato?

La produzione neorealista, verso il quale papa Francesco ricorda di essersi avvicinato grazie ai suoi genitori, può in effetti essere indicata come uno dei fondamenti della cultura cinematografica che Bergoglio ha coltivato e arricchito nel corso del tempo e di cui troviamo nitida testimonianza nel suo magistero. Molti film neorealisti hanno rappresentato, durante la sua infanzia, una finestra verso il mondo e sugli eventi della sua contemporaneità, segnando un cammino di consapevolezza e di presa di coscienza profonda delle sofferenze dell’altro e consegnando dunque al giovane spettatore una serie di valori che egli considerava universali.

Superando in un certo senso una tradizione cattolica particolarmente diffidente verso il neorealismo sul terreno della rappresentabilità del male sullo schermo, papa Francesco ha fatto tesoro del suo trascorso e ha spostato l’angolo di visione di questa esperienza, indicandone in un certo senso il recupero sul piano religioso e culturale.

Proprio lui nell’intervista che mi ha concesso ha sottolineato: «I film del neorealismo ci hanno formato il cuore e ancora possono farlo. Direi di più: quei film ci hanno insegnato a guardare la realtà con occhi nuovi. […] Quanta necessità abbiamo oggi di imparare a guardare!». Ed è con questo assunto che il neorealismo entra a pieno titolo negli insegnamenti che il pontefice veicola nei propri discorsi, in particolare quelli pronunciati durante gli incontri con i più giovani, che secondo lui possono trarre maggior beneficio dal nuovo sguardo che questo cinema può suggerire rispetto alla realtà attuale.

La tragedia della guerra in “Roma città aperta”, lo sguardo esigente dei più piccoli in “I bambini ci guardano”, la lezione di senso che viene dalle periferie esistenziali in La strada. Per Francesco il cinema che ama non è un’operazione nostalgia, ma un preciso monito per l’oggi. Quale lezione trarne?

Il cinema ha ancora quella peculiare capacità di raggiungere tutti per costruire passaggi, aprire brecce negli sbarramenti, creare relazioni e connessioni. Quello che sembra più significativo a Francesco in queste opere, oltre alla loro già richiamata capacità di inserirsi in maniera originale nell’attualità, è la possibilità che hanno di raggiungere e di raccontare anche gli “ultimi” e i “dimenticati”, restituendoci il loro sguardo sulla realtà. Facendo riferimento durante l’omelia pronunciata per la Pasqua del 2016 a La strada di Federico Fellini, film particolarmente citato e tra i più amati per l’implicito riferimento a San Francesco, il papa ne lodava le capacità di «donare una luce inedita allo sguardo sugli ultimi», sottolineando come «in quel film il racconto sugli ultimi è esemplare ed è un invito a preservare il loro prezioso sguardo sulla realtà». Per questo motivo Francesco ha avvertito la possibilità di rinnovare il proprio messaggio attraverso una esperienza in prima persona.

Nel film diretto da Wim Wenders Papa Francesco, “Un uomo di parola” (2018), Bergoglio ha ulteriormente rinnovato il percorso in cui il cinema si fa soggetto della catechesi, con la scelta di raccontare se stesso mediante il suo peculiare stile al fine di indicare e trasmettere attraverso questo mezzo il suo modo di intendere la Chiesa, concepita come «povera per i poveri», e il mondo.

Non è un caso che il film venga citato eccezionalmente più volte anche nell’enciclica Fratelli tutti (nn. 48, 203, 281): si trattava di dare dimostrazione di un nuovo paradigma espressivo che prevedeva l’abbandono delle distanze per fare in modo che ogni sua parola e ogni suo gesto potessero risultare comprensibili e accessibili a tutti, credenti e non credenti. Questa è la lezione attualizzante che il cinema ci consegna.

Bergoglio è un papa che comunica in modo diretto, senza filtri ma mai banale. È un papa che non si sottrae alle esigenze comunicative dell’oggi, che autorizza autobiografie e documentari su di lui, ma nello stesso tempo mette in guardia dalle tecnologie digitali, se vengono usate in modo improprio. Il cinema può essere un antidoto a queste derive, con il suo sguardo sul mondo che ha sempre una valenza sociale?

Papa Francesco ha più volte ricordato la necessità di non sottrarsi alle nuove sfide imposte dalla modernità, per – come sottolineava al personale del Centro Televisivo Vaticano nel 2013 – «mantenere saldamente “la prospettiva evangelica in questa specie di autostrada globale della comunicazione”» e per aprire il campo dell’apostolato anche a quegli strumenti che possano fornire un nuovo sguardo alla realtà e provocare la coscienza dei credenti. Ed è proprio in questo senso che egli ha indicato il cinema – ricordando come questo faccia intimamente parte del suo orizzonte culturale e come il rapporto con questo medium abbia segnato alcuni passaggi fondamentali del suo percorso personale e spirituale – come possibile protagonista di una strategia propositiva volta ad adeguare il messaggio del Cristianesimo davanti a scenari di diffusione sempre più globali e aprire a nuove domande di senso. Se, come da lui espresso, «l’ambiente mediale oggi è talmente pervasivo da essere ormai indistinguibile dalla sfera del vivere quotidiano» e «i media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni umane autentiche» (Christus vivit, n. 88), il pontefice ha comunque voluto anche di recente indicare il cinema come grande strumento di aggregazione dall’alto valore sociale. Anche i film, in questo senso, vanno riconosciuti come veicoli di valori universali e strumenti di una nuova «scuola di umanesimo» che punta a parlare direttamente alle coscienze.

Jorge Mario Bergoglio ha imparato a “respirare” il cinema dai suoi genitori. Come riuscire, oggi, a far tornare nelle sale i giovani, più avvezzi ad altri schermi?

Penso sia necessario ricominciare a intendere il cinema come una piattaforma di riflessione che può contribuire in maniera determinante a ricostruire il tessuto sociale con tanti momenti aggregativi. Sempre Papa Francesco segnalava la strada da seguire per cercare di imparare dal passato: «Anche oggi – mi diceva – guardando oltre le difficoltà del momento, il cinema può mantenere questa capacità di aggregazione o, meglio, di costruire comunità. Senza comunione, all’aggregazione manca l’anima». Mi sembra che, in questo senso, sia soprattutto una responsabilità che dobbiamo cogliere nei confronti delle generazioni più giovani, per fare in modo che rimanga forte questo senso di comunità e di solidarietà come spirito che guida il nostro vivere in società. Questo intento, che appare sempre più un’urgenza che coinvolge gran parte del tessuto sociale del nostro Paese, deve essere perseguito attraverso soprattutto una informazione attenta ed efficace sulle nuove tecnologie e mezzi di comunicazione affinché non diventino, col passare del tempo, gli unici protagonisti delle nostre relazioni e non leghino giovani e meno giovani all’illusione di un mondo dove si è costantemente connessi ma sempre più raramente realmente legati da una comunanza di idee, prospettive e valori.

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Fonte: Sir