Padre Giovanni Didonè: il racconto del viaggio in Congo ad agosto per la beatificazione
Una delegazione padovana ha partecipato, il 18 agosto nella Repubblica democratica del Congo, alla beatificazione del missionario saveriano che è stato ucciso il 28 novembre 1964. Con lui sono stati beatificati altri due saveriani e un sacerdote locale, "martiri della fraternità"
«Hanno lasciato tutto e donato tutto, seguendo Gesù. A sessant’anni di distanza sono ancora tangibili i frutti dell’operato dei quattro martiri in Congo». È parte della testimonianza di don Raffaele Coccato, responsabile del Centro missionario diocesano, al rientro dal viaggio in Congo di metà agosto, in occasione della beatificazione del saveriano padre Giovanni Didonè (nato a Rosà, Vicenza, e cresciuto in diocesi di Padova, a Ca’ Onorai, frazione di Cittadella), di altri due padri saveriani e di un sacerdote congolese, uccisi il 28 novembre 1964. I loro nomi sono Luigi Carrara, diocesi di Bergamo, Vittorio Faccin, diocesi di Vicenza, e Albert Joubert, nato in Congo. La cerimonia di beatificazione, presieduta dall’arcivescovo di Kinshasa, card. Fridolin Ambongo Besungu, si è tenuta nella città di Uvira (situata a nord del Lago Tanganica), sede della diocesi, di cui fanno parte le parrocchie di Baraka e Fizi dove sono morti i quattro uomini per mano di ribelli, quando il Paese viveva il difficile processo di indipendenza post colonizzazione.
«Abbiamo toccato con mano l’attaccamento a questi martiri da parte di migliaia di persone – racconta don Raffaele Coccato – In tantissimi hanno partecipato alla celebrazione di domenica 18 agosto, ma anche alla festa di ringraziamento del giorno successivo presso la cappella delle reliquie (realizzata in un santuario dedicato alla Madonna del lago Tanganica) che ha visto una processione di fedeli davvero toccante. Il vescovo di Uvira, Sébastien Muyengo Mulombe, ha sottolineato più volte che, pur essendo tre di loro provenienti da un’altra terra, questi martiri sono tutti “martiri del Congo”, semi di fede e di speranza per la vita cristiana del Paese».
Arrivo e incontri
I rappresentanti delle diocesi di Padova (tra cui il parroco di Ca’ Onorai, don Michele Majoni, e un nipote del saveriano, Angelo Didonè), Vicenza (con il vescovo Giuliano Brugnotto) e Bergamo, sono arrivati il 14 agosto all’aeroporto di Bujumbura, in Burundi, accolti in una casa dei padri saveriani. Poi, un incontro con i novizi, la messa nella parrocchia di Kamenge - ricordando le suore missionarie uccise tre anni fa, Lucia Pulici, Olga Raschietti, Bernardetta Boggian - e la messa nella festa dell’Assunta con canti e danze.
Attraversato nei giorni successivi il confine tra Burundi e Repubblica Democratica del Congo, il gruppo è stato accolto a Uvira dai padri saveriani e si è unito ai parenti del quarto martire, padre Jobert. Sabato 17 agosto, vigilia della solenne celebrazione, è stato il momento per una festa con danze, canti e una toccante rappresentazione teatrale organizzata dai fedeli della diocesi. Il tutto si è svolto in un clima di grande fraternità che rimanda agli stessi beatificati, definiti “martiri della fraternità”: «Da una parte, perché non hanno voluto abbandonare il popolo delle due comunità a cui erano affidati, vivendo una fraternità “fino alla fine”; dall’altra, perché ancora oggi si respira, si vive, una sincera fraternità», sottolinea don Raffaele Coccato.
La sua presenza si respira ancora
«L’emozione è stata tantissima, devo dire grazie a Giovanni per tante persone, sia paesane che di famiglia – è il ricordo di uno dei nipoti del martire, Angelo Didonè – Ho toccato con mano la testimonianza di molte persone che non conoscevo. Come la storia di suor Giovanna che circa trent’anni fa ha abitato nella casa di padre Giovanni, poco distante era presente un luogo del ricordo dove il martire ha perso la vita: ogni volta che lei ci passava davanti diceva a se stessa: “Padre Giovanni insegnami a essere missionaria!”. Anche lei, che lo sente ancora come una presenza che la aiuta, è partita appositamente dalla Tanzania per partecipare alla beatificazione del 18 agosto. Mi ha colpito inoltre vedere come i missionari che vivono qui lo facciano sobriamente, in povertà».
Sentimenti di Gioia e Accoglienza
«Mi porto a casa due parole da questa esperienza: gioia e accoglienza – afferma don Michele Majoni, parroco di Ca’ Onorai dove padre Giovanni Didonè è creciuto – Gioia è quella che ho vissuto durante le celebrazioni eucaristiche vedendo quanto le persone di qui si danno da fare, sempre con il sorriso, anche durante alcune celebrazioni lunghe, di due-tre ore. E accoglienza, intesa come capacità di essere pronti a ciò che arriva nella vita, anche gli imprevisti o i ritardi che qui accadono spesso, farlo sempre e comunque con uno spirito di gratitudine per ciò che la vita ci dona ogni giorno».
Le campane di Ca’ Onorai a Uvira
Un pezzo di Ca’ Onorai è presente nella città di Uvira: si tratta delle campane. Al tempo dovevano essere portate a Fizi, ma padre Giovanni non le ha potute vedere a causa del martirio, per questo i saveriani le hanno destinate alla cattedrale di Uvira, quale ultimo dono della parrocchia di Ca’ Onorai a Giovanni.
«Tutto parla di ringraziamento, abbiamo intrecciato uno spirito di servizio e di gratitudine, dai missionari alla gente comune – racconta Emiliano Menegazzo della parrocchia di Pozzetto, Cittadella, legato alla famiglia Didonè e ai missionari saveriani – È stato davvero piacevole re-incontrare padre Franco Bordignon, dopo cinque anni in cui non ci vedevamo».
La testimonianza del domestico che nascose i corpi dei martiri
«Le nostre case nel territorio di Cittadella distavano circa un chilometro una dall’altra – sottolinea padre Franco Bordignon, saveriano, originario di Pozzetto, cresciuto insieme a padre Giovanni Didonè e da oltre cinquant’anni in Congo – Io ho undici anni di meno e conoscevo bene tutta la famiglia. Ricordo quand’ero al Ginnasio negli anni 1956-58, durante le vacanze estive, trascorrevamo come congregazioni i pomeriggi al Duomo di Cittadella e Giovanni ci dirigeva da un punto di vista spirituale con l’adorazione, il rosario, la meditazione, ma anche dal punto di vista ricreativo: era un vulcano di idee ed era sempre gioioso e scherzoso. Lui è arrivato qui nel 1959, ha vissuto il periodo delle guerre del tempo di Mulele (la rivoluzione mulelista) di cui è stato vittima. Io invece giungo nel 1972, c’era già la pace con il presidente Mobutu. Ho lavorato soprattutto al nord e sono stato nel 1978 tre mesi nella sua parrocchia dove ho trovato ricordi bellissimi di padre Giovanni e anche il domestico di allora che mi ha raccontato com’è avvenuta la sua morte. Gli assassini sono arrivati di sera, lo hanno chiamato, lui è uscito e gli hanno sparato. Mentre il prete che viveva con lui, Albert Joubert, ha tentato di scappare attraverso una finestra (la casa era piccola, di legno, poi bruciata). È stato lo stesso domestico a deporre poi i corpi in una fossa-latrina che aveva scavato e che non era ancora stata usata. I ribelli quindi non hanno potuto seviziare i loro corpi, come fatto a Baraka, pur avendoli cercati senza trovarli.
Le lettere di padre Giovanni sono una testimonianza del martirio e della fedeltà, del missionario che rimane al fronte assieme ai suoi fino alla fine, come Gesù Cristo è rimasto con i suoi, con gli uomini, fino alla fine».
Duecento saveriani uccisi solo nel 1964
«Non conoscevo la storia di padre Didonè ma l’ho approfondita come consigliere comunale in occasione del premio conferitogli quest’anno dal Comune di Rosà – racconta Giulia Vanin con il marito Giovanni, di Cusinati, Rosà, dove padre Didonè è nato, e presente al viaggio in Congo – Leggere quello che ha vissuto, insieme a tutta la famiglia dei saveriani, è stato scioccante: in duecento sono stati uccisi solo nel 1964! Mi sono chiesta perché hanno deciso di restare, e ho colto l’amore per questo popolo che continua dopo sessant’anni a essere riconoscente, lo abbiamo visto nelle celebrazioni e nella fila che c’era alla cappella delle reliquie. Il suo sangue ha seminato, anche tra le nostre due Diocesi, Vicenza e Padova. Questo viaggio ha creato un piccolo germoglio tra noi».
Germoglio di collaborazione già vivo nella missione in Brasile e che guarda anche a quella della Thalilandia.
Gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi
«Desideriamo celebrare una volta in più il volto missionario della Chiesa che porta il Vangelo della condivisione in tanti luoghi del mondo – conclude don Raffaele Coccato – Abbiamo incrociato missionari e fedeli che portano vivo nel cuore il ricordo di queste persone che hanno dato la vita: sono segni di speranza per un Paese sempre immerso in tensioni e guerre. “Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi” dice un passo del Vangelo: i quattro martiri da “ultimi”, persone semplici quali erano, hanno camminato con gli ultimi raccogliendo un grande popolo che può essere considerato “primo” nella fede, nella fraternità».