Ortofrutta preziosa e bistrattata. Il settore è tra i più importanti per l’agroalimentare ma deve risolvere una forte crisi produttiva
L’appello che circola tra gli addetti ai lavori è semplice: ripartire daccapo con una stagione di collaborazione tra agricoltori, industriali e distribuzione.
Ortofrutta preziosa quella italiana. Eppure così bistrattata, e in crisi. Quasi in procinto di essere surclassata da quella proveniente d’oltreconfine. Molti, quasi tutti, hanno già definito (e con ragione) il 2021 l’anno nero del comparto. A seconda dei prodotti, certamente la definizione è calzante, anche se occorrerebbe forse precisare che questo pare essere sempre di più l’anno dei paradossi per la nostra ortofrutta. Da un lato, infatti, soprattutto per l’andamento climatico, i raccolti sono stati falcidiati; dall’altro, vendite all’estero e in Italia hanno fatto registrare traguardi importanti.
In occasione dell’ultima importante manifestazione di settore – in settembre Macfrut -, i coltivatori diretti hanno ben sintetizzato la situazione. Frutta e verdura italiane sono state colpite “dagli effetti del meteo impazzito a causa dei cambiamenti climatici fra gelo, grandine, bombe d’acqua, tempeste di vento e siccità che hanno devastano campi, serre e raccolti”. Una condizione che si è ripetuta varie volte nel corso dell’anno e che, di fatto, parrebbe non aver risparmiato quasi nessun prodotto.
Dall’altro lato, come si è detto, l’ortofrutta italiana nel Paese e nel mondo gode di un forte apprezzamento. “Quella per frutta e verdura è diventata la prima voce di spesa delle famiglie italiane a tavola superando in valore tutti gli altri prodotti, dalla carne alla pasta, dal pesce ai formaggi, dal latte all’olio, per un totale di quasi 1300 euro all’anno”, ha spiegato recentemente Coldiretti. Tra i Paesi dell’Unione Europea, l’Italia sarebbe quello che conta una maggiore propensione al consumo di ortofrutta con più di 8 italiani su 10 (81%). Il primato nazionale riguarda anche le quantità visto che nel 2020 il consumo pro capite annuo – continua Coldiretti – è stato di 160 chili, davanti a molti Paesi europei, come la Germania (109 chili) o il Regno Unito (101 chili) secondo Nomisma. A conti fatti, i consumi di frutta e verdura degli italiani sono aumentati di quasi un miliardo di chili nell’ultimo decennio. Ugualmente, l’ortofrutta italiana fresca e trasformata è quasi sempre la prima voce dell’export agroalimentare. I primi consumatori di frutta e verdura Made in Italy sono nell’ordine Germania, Francia, Gran Bretagna e Austria che da sole rappresentano quasi la metà (49%) dell’export nazionale nel 2021.
Tutto bene, si direbbe. La realtà, invece, appare essere piuttosto diversa. E a pesare non sono solo gli effetti del clima avverso. Per capire meglio cosa sta accadendo, basta leggere la sintesi della situazione in una delle regioni ortofrutticole per eccellenza ben descritta dal Corriere Ortofrutticolo in questi ultimi giorni. “L’Emilia Romagna – viene spiegato – ha acceso la spia dell’allarme rosso. L’ex regione modello per produzione e organizzazione, con la Romagna che era il distretto (e in parte lo è ancora) simbolo di una filiera integrata all’avanguardia, è davvero in affanno tra danni provocati da eventi atmosferici eccezionali, malattie e nuovi patogeni. Manca la produzione, calano le superfici anno dopo anno, la marginalità delle imprese evapora, i costi (materiali, energia, trasporti, logistica) aumentano sotto la spinta di fattori interni ed esterni”. Una condizione, sembra, aggravata da rapporti di filiera non certo sempre facili e collaborativi.
Ma a questo punto che fare? L’appello che circola tra gli addetti ai lavori è semplice: ripartire daccapo con una stagione di collaborazione tra agricoltori, industriali e distribuzione che, con l’aiuto delle istituzioni, pensi nuovamente ad una serie di interventi per far ripartire il settore. Cosa fare è già stato individuato da più parti: basta pesare alle richieste di Confagricoltura, CIA-Agricoltori italiani, Copagri, Confcooperative, Legacoop Agroalimentare e Agci dell’Emilia-Romagna che vorrebbero un nuovo fondo mutualistico, polizze contro il rischio climatico e mutui agevolati per le imprese, un piano nazionale di riconversione varietale e sgravi fiscali sul costo del lavoro. Lo scoglio più importante da superare, tuttavia, appare essere quello della collaborazione. Come spesso accade in Italia.