Ortofrutta in crisi. Il settore in Italia ha molti problemi e la concorrenza ci supera. Eppure le capacità per fare meglio ci sono
Proprio quello delle produzioni ortofrutticole è uno degli esempi più importanti per comprendere quanto sia difficile fare agricoltura.
In emergenza da una parte, in gran crescita dall’altra. Stesso comparto, pressoché uguali produzioni e situazioni colturali, prospettive diametralmente opposte. E’ la sintesi della situazione dell’ortofrutta mediterranea: in crisi in Italia, in sviluppo in Spagna. Proprio quello delle produzioni ortofrutticole è uno degli esempi più importanti per comprendere quanto sia difficile fare agricoltura. Basta poco per capire.
Stando alle osservazioni degli esperti del comparto, l’ortofrutta italiana è sempre più in emergenza tra danni da cimice asiatica e crisi generalizzata. Situazione al limite della sopravvivenza, pare, tanto che una delle voci più autorevoli del comparto – il Corriere Ortofrutticolo -, ha rilanciato la richiesta di un tavolo di crisi del settore presso il ministero delle Politiche agricole. Solo a causa degli attacchi della Cimice asiatica, l’Alleanza Cooperative italiane ha stimato danni per 588 milioni di euro e oltre 500mila giornate lavorative perse, di fronte ai quali pare che il governo abbia stanziato solo 80 milioni su tre anni. Ma non si tratta evidentemente solo di un insetto. Fruitimprese (una delle organizzazioni più rappresentative del settore), ha recentemente sottolineato i dati sempre più preoccupanti della bilancia commerciale, positiva di appena 86 milioni di euro nel terzo trimestre 2019 (-83,6% sul settembre 2018), a cui si aggiungono i cali delle esportazioni. Eppure, come sottolinea giustamente spesso Coldiretti, l’Italia ortofrutticola è ai primi posti in quanto a livelli produttivi per molte coltivazioni. Complessivamente la superficie italiana coltivata ad ortofrutta – dice proprio Coldiretti – supera il milione di ettari e vale oltre il 25% della produzione lorda vendibile agricola italiana. Abbiamo dalla nostra parte numerosi punti di forza come l’assortimento e la biodiversità, oltre al primato di 107 prodotti ortofrutticoli Dop/Igp riconosciuti dall’Ue, la sicurezza, la qualità, la stagionalità. Ma è ugualmente crisi.
Cosa manca? Stando ai coltivatori sostanzialmente la risoluzione di due ordini di questioni. Da un lato la necessità di una maggiore organizzazione dal punto di vista produttivo, logistico e strategico; dall’altro la possibilità di “aggredire” di più i mercati esteri. A livello nazionale – dice da tempo Coldiretti – serve un task–force che permetta di rimuovere con maggiore velocità le barriere non tariffarie che troppo spesso bloccano le nostre esportazioni ma anche trasporti ferroviari efficienti e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo. Detto in altri termini, occorre rimediare al fatto che l’Italia purtroppo non è riuscita ad agganciare la ripresa della domanda all’estero. Da qui, appunto, la richiesta a gran voce di un luogo dove tutti i protagonisti del settore possano trovarsi a ragionare concretamente su cosa fare.
Intanto, il nostro principale concorrente, la Spagna, ha già fatto, pare, passi notevoli. Stando agli ultimi numeri certi forniti dal ministero dell’Agricoltura di Madrid, non solo i consumi interni crescono velocemente, ma le vendite oltre confine di prodotti spagnoli sono ormai la metà della produzione totale ortofrutticola e dal 2012 al 2017 sono progressivamente cresciute (+13%); il 93% di queste è poi diretto all’interno dell’Ue. Il confronto con l’Italia è impietoso: solo il 16% della nostra ortofrutta viene esportato e di fatto in gran parte sullo stesso mercato. E non basta, perché secondo Coldiretti, il ritardo organizzativo, infrastrutturale e diplomatico del nostro Paese pare abbia provocato nel 2018 un crollo nell’ortofrutta fresca esportata dell’11% in quantità e del 7% in valore, rispetto all’anno precedente.
Ma che fare a questo punto? Il parere degli esperti è che non è più sufficiente aspettare gli interventi delle Istituzioni per migliorate infrastrutture e logistica oppure per abbattere il costo del lavoro e dell’energia. Occorre che siano le imprese a darsi più da fare dando vita ad organizzazioni diverse da quelle di oggi, che sappiano stare di più e meglio sui mercati esteri. Insomma, davanti ai nostri produttori si delinea una nuova sfida. Capacità e mezzi per vincerla però non mancano.