Non sappiamo più parlare. L'italiano, specie tra i giovani, si impoverisce sempre di più
Il dato più sconfortante che emerge dalle prove Invalsi è proprio quello relativo alla nostra lingua.
Quest’anno, più che nei passati, gli organi di stampa ci riferiscono la preoccupazione del mondo della scuola, e non solo, rispetto ai risultati delle prove Invalsi. I test, somministrati a livello nazionale nelle classi seconde e quinte della scuola primaria, nella terza della secondaria di primo grado e in seconda e quinta della secondaria di secondo grado, hanno rivelato delle importanti lacune fra gli studenti e anche un forte divario del livello di preparazione fra nord e sud d’Italia, a scapito di quest’ultimo.
L’Invalsi, ormai da quasi tre lustri, è l’organo nazionale preposto alla valutazione dei livelli di apprendimento dei nostri alunni e studenti. Lo scopo delle rilevazioni annuali non è tanto misurare la “bravura” dei ragazzi, quanto verificare che la somministrazione dei saperi e l’acquisizione delle competenze sia omogeneo e opportunamente calibrato su tutto il territorio della Penisola. La reale opportunità di acquisire conoscenze ed essere istruito rientra a pieno titolo fra i diritti sanciti dalla nostra Costituzione e la formazione degli individui è passaggio essenziale per poter accedere in maniera proficua al mondo del lavoro. Di competenze e conoscenze si occupa anche l’Unione europea, che raccomanda con regolarità ai Paesi membri di vegliare sullo stato di salute del proprio sistema di istruzione, affinché i cittadini possano godere realmente del proprio status e negli Stati si riducano sensibilmente i gap fra diverse classi sociali e ambienti.
Le prove riguardano principalmente tre ambiti: lingua italiana, matematica e logica, lingua inglese.
Per quanto riguarda la lingua italiana, la fotografia nazionale ci avverte quest’anno che il 35% dei nostri studenti non è in grado di comprendere a fondo un testo. Quello offerto è naturalmente un dato medio che tende a diminuire nei test somministrati nel Settentrione e a peggiorare sensibilmente soprattutto in Campania e Calabria. Anche nella matematica sono numerose le defaillance registrate e nella lingua inglese le difficoltà emergono soprattutto nella prova di listening.
Certo il dato più sconfortante è proprio quello relativo alla nostra lingua. Sebbene, forse, c’era da aspettarselo per una serie di ragioni. L’italiano ha mostrato negli ultimi anni, soprattutto fra le giovani generazioni, un forte impoverimento. Qualcuno la chiama “trasformazione”, in linea con la tesi che la lingua sia “viva” e legata alle esigenze dei parlanti. Vero. Ma qui si assiste a una riduzione fortissima di conoscenza proprio dei termini basici della nostra lingua, a un uso ripetitivo sempre delle stesse parole e a un deperimento lessicale e sintattico che poi non può fare a meno di condizionare la profondità di ciò che si vorrebbe e non si riesce a esprimere. Forte è il distacco comunicativo con le generazioni più anziane, nonché con il sistema di trasmissione dei saperi basato sull’uso di una lingua certamente divulgativa ma articolata e complessa.
Nella forma verbale le cose non vanno affatto meglio. I giovani parlano poco e male. Gli intercalari sono frequenti e fuori luogo. Peccano fortemente nella coniugazione dei verbi, una competenze che fino a qualche decennio fa era appannaggio della scuola “elementare”. Se non riescono a trovare le parole giuste nella lingua madre, come potrebbero raggiungere livelli di eccellenza nelle lingue straniere?
Si legge poco, si ascolta ancora di meno. Ecco altre due ragioni che sono alla base di questa debacle.
La comunicazione digitale ha messo in crisi la carta stampata e i libri. Vero che le letture possono farsi anche in formato digitale, ma quando si tratta di scegliere fra un filmato o un videogame e un testo narrativo i nostri giovani come si orientano? Le immagini sono troppo seduttive e non chiedono alcuno sforzo decodificativo.
E poi, sì, c’è il dramma della mancanza di ascolto e di attenzione: la prima delle competenze a latitare fra i nostri giovani. I tempi di attenzione sono sempre più ridotti, la tolleranza alla fatica mentale e alla somministrazione dei contenuti (percepita tra i più come pratica assai noiosa) è minima.
Insomma, i dati sono allarmanti, cerchiamo di non dare di essi una mera lettura “scolastica” o, peggio, politica.
Silvia Rossetti