Nobel per la pace: Farian Sabahi (scrittrice iraniana), “premia la tenacia delle donne: non bisogna mollare, mai”
“Il riconoscimento all’attivista iraniana Narges Mohammadi del Nobel per la pace premia la tenacia delle donne iraniane: non bisogna mollare, mai”.
Così Farian Sabahi, ricercatrice senior in Storia contemporanea presso l’Università dell’Insubria e autrice di “Noi donne di Teheran” (Jouvence 2022), commenta al Sir l’assegnazione del Premio Nobel per la pace all’attivista Narges Mohammadi. Alla domanda se questo riconoscimento può rappresentare l’’inizio di un cambiamento, la scrittrice risponde: “Il cambiamento c’è già stato, a livello sociale. Nel senso che la società iraniana è molto cambiata in questo ultimo anno, in seguito alle proteste e alla repressione del movimento Donna vita libertà. Proteste innescate dalla morte della ventiduenne curda Mahsa Amini. A non cambiare è invece la leadership di Teheran, che in questi mesi ha deciso per la linea dura, come dimostra il recente caso della sedicenne Armita Garavand in coma per le percosse della polizia morale. In questo, ayatollah e pasdaran sanno di avere l’appoggio della Cina, che fornisce agli apparati di sicurezza iraniani gli strumenti per reprimere il dissenso, tra cui la tecnologia per il riconoscimento facciale. Inoltre, mentre l’Occidente continua a imporre maggiori sanzioni e premia Narges Mohammadi, la leadership iraniana sa di avere l’appoggio della Shanghai Cooperation Organization, di cui è entrata a far parte, e dei Brics che hanno invitato l’Iran nel loro club”. “I premi sono importanti per accendere i riflettori”, prosegue Sabahi. “Purtroppo, però, non bastano. E soprattutto, non servono a mettere una pezza ai tanti errori commessi dall’Europa e dagli Stati Uniti”. “Infine – aggiunge la scrittrice -, non è da sottovalutare il fatto che gli iraniani che vivono in Iran sono chiusi in un Paese che è una sorta di gabbia: uscire non è facile, anche perché i Paesi europei non concedono facilmente i visti. I figli della leadership iraniana hanno invece – paradossalmente – maggior libertà di movimento: molti di loro studiano negli Stati Uniti, in Canada, in Gran Bretagna. E, da questi Paesi, gestiscono il patrimonio di famiglia depositato in quello stesso Occidente che sanziona l’Iran. Una situazione assurda”.