Migranti, il coronavirus non può far venir meno l’obbligo di salvare vite in mare
Un gommone con 51 persone (e 5 cadaveri a bordo) riportato in Libia, altri messaggi di allarme inascoltati. Di Giacomo (Oim): “E’ necessario che a livello europeo sia definito un meccanismo di sbarco nel rispetto del diritto internazionale”. La commissaria ai diritti umani Dunja Mijatović risponde alle ong: “La crisi sanitaria non giustifica l’abbandono di persone in mare”
“Non va bene, non va bene per niente. C’è un bambino malato e io sono incinta. Due persone sono morte qui. Abbiamo chiesto aiuto ma nessuno è venuto. Affondiamo”. L’audio straziante di una donna che lancia un sos da un gommone in distress è stato diffuso due giorni fa dalla rete di Alarm phone. Ed è solo uno degli ultimi appelli caduto nel vuoto di persone che chiedono di essere salvate nel Mediterraneo centrale. Ieri oltre 50 migranti che erano in mare da diversi giorni sono stati riportati a Tripoli dal peschereccio Maria Christiana, che li ha soccorsi in area sar maltese. I sopravvissuti sono 51 tra cui 8 donne e tre bambini. Con loro viaggiavano anche 5 cadaveri mentre 7 persone sarebbero disperse in mare.
Un episodio che riapre la discussione sugli obblighi degli stati europei nel salvataggio marittimo e sulla situazione in Libia. “Il fatto che ci sia l’emergenza Covid19 non deve portare gli stati a venir meno all’obbligo di ottemperare al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale marittimo, bisogna continuare a salvare le persone in mare per poi portarle in luoghi sicuri. E la Libia non è un porto sicuro - sottolinea Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) -. Il paese non rispetta i diritti umani, la scorsa settimana un barcone è rimasto bloccato a largo della Libia, poi è stato concesso lo sbarco: alcuni migranti sono stati portati in un centro di accoglienza temporaneo al porto, altri in un centro di detenzione non ufficiale, in cui neanche Oim ha accesso e ad oggi non sappiamo che fine abbiano fatto queste persone”. I bombardamenti su Tripoli continuano e stanno aumentando i casi di Covid19. C’è grande preoccupazione perché lì l’epidemia è ancora più difficile da gestire”. Attualmente in Libia ci sono più di 200mila sfollati secondo gli ultimi dati di Oim. Solo a Tripoli sono 150mila, ma le persone sono state costrette a lasciare le loro case anche in altre aree colpite dal conflitto nel paese, tra cui Murzuq, Sirt e Abu Gurayn.
Per questo Oim chiede di non riportare i migranti in Libia. “E’ necessario che a livello europeo venga definito un meccanismo di sbarco nel rispetto del diritto internazionale - aggiunge Di Giacomo - Va tutelata la salute di soccorritori e migranti. Non è possibile chiudere i porti europei, noi chiediamo che ci sia una risposta congiunta di tutta l’Europa. Quello che è successo ieri, col peschereccio che ha riportato le persone a Tripoli è particolarmente grave: le persone erano in zona sar maltese, tra loro c’erano diversi sudanesi ed eritrei che non hanno potuto chiedere asilo, tutto è assimilabile a una violazione del principio di non refoulement”.
Intanto restano in attesa di un porto sicuro le navi umanitarie Aita Mari e Alan Kurdi. Questa mattina un uomo ha tentato il suicidio, provando a gettarsi dal ponte dell’ong tedesca. “Dopo più di dieci giorni non abbiamo ricevuto nessuna risposta né nessun ordine concreto - spiega Sophie Weidenhiller, portavoce dell’ong Sea Eye che si trova attualmente al largo di Lampedusa con 149 migranti e 20 membri dell’equipaggio. Al ragazzo di 24 anni che ha cercato di togliersi la vita il medico di bordo ha diagnosticato una grave stato di ansia e segni di violanza dovuti alle torture in Libia. “I porti italiani sono chiusi ma le autorità italiane da domenica hanno proposto di trasferire i migranti su una nave. Ad oggi però non abbiamo informazioni precise a riguardo né sappiamo con quali tempistiche verrà portata avanti l’operazione di trasbordo” spiega l’ong.
Ed è di oggi la pronuncia della commissione per i diritti umani del Consiglio d'Europa, che era stata sollecitata nei giorni scorsi con una lettera da Medici Senza Frontiere, SeaWatch e OpenArms. Dunja Mijatović, ricorda agli Stati che la crisi sanitaria in atto non può giustificare il consapevole abbandono di persone alla morte per annegamento, lasciandole in mare per giorni o stando a guardare mentre vengono riportate in Libia ed esposte alle più gravi violazioni dei diritti umani. “Gli stati devono garantire il salvataggio in mare e lo sbarco sicuro dei sopravvissuti - afferma - La solidarietà europea e la condivisione delle responsabilità sono più che mai essenziali per preservare il diritto alla vita. In questo periodo di prove, ci viene ricordato il valore della vita umana e la necessità di preserverla - aggiunge - compreso quando si tratta di persone alla deriva del mare, lontano dagli occhi di tutti”.