La scuola che verrà. Prospettive e desideri secondo Michele Visentin
Prospettive e desideri. La riflessione sul futuro della scuola deve incontrare il vissuto comune per concretizzarsi. La centralità del sapere e del tempo presente
Mentre l’anno scolastico volge al termine il pensiero già corre a settembre. Sapremo trasformare l’esperienza di questi mesi in una comprensione più profonda dei processi di apprendimento? Stiamo solo resistendo o qualcosa di nuovo si è anche fatto presente? Quali interpretazioni il mondo della scuola sarà in grado di generare perché si possa evitare, tra un paio di mesi, che i collegi docenti siano aperti con l’ormai iconica espressione «dunque, dove eravamo rimasti?».
Aprire spazi di riflessività
Le risposte a questi interrogativi, come è noto, afferiscono agli studi sulla costruzione dei significati (sensemaking) all’interno dei contesti organizzativi (Weick, 1997). Quello che è possibile dire della scuola che ci attende, non dipende dalla nostra capacità di immaginare il futuro ma dalla nostra abitudine a riflettere sul passato. L’evento, di per sé traumatico, del Covid-19 e la didattica a distanza (dad) che ne è conseguita, non renderanno le scuole migliori o peggiori, se non attraverso la condivisione di momenti di riflessività che coinvolgano, a diversi livelli, l’intera comunità scolastica. Momenti che mettano in circolo e diano parola ai vissuti significativi di tutti. Il concetto stesso di «vissuto significativo» è declinato infatti sempre al passato non solo perché «le persone possono sapere che cosa stanno facendo solo dopo averlo fatto» (Schutz 1967), ma anche e soprattutto perché lo pensano insieme. L’idea stessa di scuola del futuro post Covid-19 rimarrà una concettualizzazione astratta che non aggancia la realtà se non risulterà essere il frutto di un processo di riflessione che ferma l’attenzione su aspetti del «vissuto comune». Su cosa posare l’attenzione perché il dibattito sulla scuola che verrà non sia puramente astratto o dialettico e conflittuale? Propongo due questioni che secondo me sarebbero da porre alla comunità scolastica.
Possiamo insegnare senza cogliere il nesso tra Conoscenza e Sapere?
Il vissuto comune di chi lavora nella scuola racconta della fatica ma anche della necessità di rimodulare i contenuti, di selezionarli e di privilegiare la comprensione durevole rispetto a quella utile unicamente alla ripetizione di informazioni acquisite. La riflessione su questi tentativi (ammirevoli anche se spesso maldestri) di revisione degli statuti propri delle discipline, riporterebbe la scuola all’interno dell’ambito che le è proprio, quello di un ambiente in cui si ricerca il Sapere come metro del Conoscere, capace di dargli stabilità. Un Sapere, che Marino Gentile, nel suo Breve trattato di filosofia, presenta come il frutto di esperienze che mettono in gioco la totalità del soggetto che apprende e lo aprono alla problematicità dell’esperienza culturale. C’è qualcosa che sta sotto le apparenze e che permane: la scuola lo deve inseguire, scovare, contemplare. Lo può fare ponendosi questioni cruciali: che cosa significa vivere? Qual è la struttura della vita? Che cosa significa morire? Ci possiamo educare alla morte? Come si costruisce un legame tra esseri umani? Che cosa significa pensare? Si può imparare a pensare? Forse nella scuola c’è troppa Conoscenza e poco Sapere?
Possiamo insegnare senza chiederci “che cos’è questo tempo presente?”
C’è un altro vissuto comune a coloro che hanno accompagnato i ragazzi e gli studenti in questo tempo di emergenza: nessuno ha potuto insegnare senza fare riferimento alla contemporaneità. Sarebbe stato fare lezione sul pianeta Marte, tacere ogni tipo di implicazione tra noi, il nostro tempo e i contenuti da trasmettere. Il pensiero corre a Kant e al suo Che cosa sono i lumi? del 1784 nel quale pone, forse per la prima volta, la questione del rapporto tra colui che scrive (colui che insegna) e il tempo presente. Che cos’è questo tempo presente che chiamiamo Illuminismo, sembrava domandarsi il filosofo di Konisberg, come oggi, parafrasando, anche noi potremmo chiederci «che cos’è questo presente nel quale sono implicato» e quali elementi lo caratterizzano a tal punto che mi appartiene e mi convoca a un coinvolgimento così radicale? Cosa significherà per la scuola pensare insieme il presente, individuandone i limiti costitutivi e la struttura del proprio tempo e della propria storia?
Forse significherà insegnare a collegare in una visione unitaria elementi e visioni differenti, a comprenderne le implicanze e le correlazioni e, soprattutto, aiutare gli studenti a sentirsi parte di una comunità di destino.
Michele Visentin
docente all’Issr di Padova e membro del comitato scientifico della Fondazione Bortignon per l’educazione e la scuola