La carenza di dialogo nelle democrazie. Più diminuisce il livello di istruzione, più cresce il livello di conflittualità
Sembra ci manchi l’Abc, che parte da due fondamentali: la consapevolezza della propria identità e il rispetto di quella dell’altro.
C’è un diffuso senso di conflittualità nelle nostre società democratiche. Lo vediamo nelle manifestazioni delle minoranze represse in Bielorussia o negli Stati Uniti, lo vediamo nel silenzio in cui è caduto il movimento degli ombrelli di Hong Kong. Ma lo osserviamo anche nei ritornelli di alcuni leader politici, che perseverano ad affermare lo stesso slogan.
Però quella conflittualità è molto radicata, si esprime nella diffidenza con la quale ci avviciniamo a uno sconosciuto, nell’incomunicabilità evidente di cui si susseguono i messaggi nelle chat scolastiche tra i genitori, nell’impossibilità di gestire un conflitto sui social media, nella sufficienza con la quale trattiamo l’argomento di un avversario, durante una discussione di politica. Sono piccoli segnali delle barriere che innalziamo intorno al nostro mondo. Abbiamo una debolezza recondita che ci rende difficile costruire una socialità semplice. È stata corrosa dalla modernità quella sapienza popolare diffusa che creava un amalgama comune. Così, a quel che appare, più diminuisce il livello di istruzione e aumenta l’analfabetismo di ritorno più cresce il livello di conflittualità.
Poi quando gli altri diventano anche “diversi da noi”, distanti dalla media delle persone che frequentiamo, la diffidenza aumenta e cerchiamo di tenere lontano l’invasore per amore della nostra tranquillità. Si crea così l’esclusione, che va per gradi, per cerchi concentrici e tiene più lontano gli ultimi: poveri, migranti, omosessuali, i diversamente credenti. Una volta fissata la distanza tra i mondi di vita, si corre il rischio che la conflittualità sfoci in violenza.
Emerge una forte carenza di dialogo. Sembra ci manchi l’Abc, che parte da due fondamentali: la consapevolezza della propria identità e il rispetto di quella dell’altro, ma è composto da altri ingredienti. Nel dialogo c’è divisione, perché ci si trova di fronte a opinioni e idee differenti, ma c’è anche apertura, perché si nutre della disponibilità ad accogliere la diversità nella sua specificità. In assenza della prima saremmo tutti omologati, senza la seconda saremmo isolati. I grandi interessi si nutrono di queste due assenze, che non permettono ai cittadini di vivere la loro società democratica. In questo modo il dialogo diventa un metodo per procedere insieme, perché permette di non chiudersi a riccio sui propri valori e sui propri obiettivi. Ci sono fasi diverse da rispettare e richiedono del tempo: l’ascolto e la comunicazione, la discussione e la relazione, il riconoscimento e la riscoperta. Così senza rimanere ancorati alla memoria della nostra identità, il dialogo aiuta a rilanciare progetti e cercare strade condivise per costruire una comunità insieme e diventa un volano che feconda la democrazia coltivando la diversità. Per questo occorrono spazi che sappiano educare al dialogo.