L’assuefazione da pornografia: nuova piaga tra i giovani. Lo studio della Fondazione Foresta
A portata di click L’accessibilità online del porno ha ricadute, preoccupanti, sullo stile di vita degli adolescenti e sulla loro dimensione immaginaria. Alterazione delle funzioni sessuali e calo del desiderio Sono alcune conseguenze, emerse dallo studio della Fondazione Foresta sui giovani. Fino ad arrivare ad ansia e dipendenza
Un tempo nascosta dietro porte chiuse o visibile solo in luoghi particolari e in momenti specifici, oggi la pornografia è ovunque, raggiungibile in qualsiasi momento con un click. Anche al lavoro e a scuola, persino quando si esce con gli amici o il partner. Più pornografia però significa anche meno desiderio: il virtuale è sempre più un surrogato della realtà e talvolta può avere un impatto devastante sulla psiche, soprattutto nei più giovani. Caso emblematico è quello di Billie Eilish, cantautrice statunitense e superstar globale, due Oscar all’attivo a poco più di vent’anni, che recentemente ha denunciato gli effetti devastanti della pornografia sulla sua vita, raccontando di esservi stata esposta fin dall’età di 11 anni. «Mi ha distrutto il cervello», ha raccontato, sollevando un allarme che riguarda milioni di giovani in tutto il mondo. Anche in Italia, stando alle analisi diffuse dalla Fondazione Foresta, che da anni si occupa della salute mentale e sessuale degli adolescenti: secondo una ricerca presentata quest’anno su un campione di quasi cinquemila studenti tra i 18 e i 20 anni di Padova e Lecce, la pornografia è sempre più diffusa tra i ragazzi, con ricadute preoccupanti sul loro stile di vita. Sono gli stessi intervistati a riconoscere che l’esposizione a immagini esplicite provoca in molti casi dipendenza e ansia da prestazione, e soprattutto riduce l’interesse per il contatto reale con le persone. Un aspetto purtroppo attestato dalla ricerca: tra i soggetti maschi intervistati ben il 16 per cento riferisce un’alterazione della funzionalità sessuale (contro appena l’1,8 per cento nel 2005), con in testa (10,4 per cento) proprio il calo del desiderio. E il dato cresce significativamente con l’aumentare della frequentazione dei siti pornografici. Un quadro confermato da chi lavora ogni giorno a stretto contatto con le dipendenze: come Marisa Galbussera, psicoanalista, vicepresidente del Centro italiano femminile (Cif) di Padova, dove è responsabile clinica del consultorio, nonché docente allo Iusve, l’università salesiana di Venezia. «La diffusione così capillare della pornografia ha modificato profondamente la nostra percezione della sessualità, e paradossalmente quella che si nota tra i pazienti è proprio una diminuzione del desiderio sessuale – spiega la specialista – Questa pervasività della sessualità, unita all’accesso continuo a contenuti che sempre più spesso sfiorano la perversione, può infatti “uccidere” la dimensione immaginaria, soprattutto nei più giovani. L’incontro con l’altro diventa meno stimolante, e si rischia di perdere quella parte di erotismo e immaginazione che sono fondamentali nella sessualità umana».
Ciò che vediamo e sentiamo può insomma avere un impatto profondo sul nostro modo di percepire noi stessi e gli altri, e questo vale soprattutto nell’età formativa. «A seconda dell’età, la pornografia può essere vissuta come un’esperienza traumatica – conferma Galbussera – Soprattutto quando bambini e giovani non hanno la maturità emotiva e cognitiva per capire ciò che vedono, le immagini esplicite possono apparire aggressive e violente. L’esposizione a tali contenuti può essere dannosa in particolare durante la fase prescolare o anche dai 6 ai 10 anni, poiché le scene di sopraffazione o prive di affetto non trovano un senso contestuale nella mente del bambino, rischiando di lasciare un’impronta negativa e distorta del concetto di sessualità». Una situazione che rischia di colpire soprattutto i soggetti più vulnerabili, quelli che in linguaggio psicoanalitico hanno difficoltà narcisistiche e problemi di identità, presentano cioè una sorta di “vuoto” che cercano di colmare con oggetti esterni. In questi casi quella da pornografia può diventare una vera e propria dipendenza, al pari di quelle da sostanze stupefacenti o dal gioco. Attività che nella mente dei soggetti fragili si presentano come un rifugio o una distrazione e che, però, di fatto aggravano il problema invece di risolverlo alla radice. Per Marisa Galbussera «un campanello d’allarme importante è quando l’individuo smette di svolgere le sue attività normali come lavoro, studio e relazioni sociali: quando la pornografia inizia a compromettere i doveri quotidiani siamo di fronte a una vera e propria dipendenza, similmente a quanto per esempio accade nei disturbi alimentari come l’anoressia, dove il soggetto trascura i propri bisogni pur di concentrarsi sui suoi obiettivi». La buona notizia è che dalla dipendenza è possibile uscire, anche se questo richiede un percorso terapeutico lungo e complesso. «Il punto fondamentale è lavorare sulla struttura della personalità, cercando di colmare quel “vuoto” che la persona tenta ossessivamente di riempire – conclude la psicoanalista – Le dipendenze si possono curare, ma è necessario intervenire sulla parte profonda e intima del soggetto, affinché quella ferita possa rimarginarsi e la persona possa ritrovare un equilibrio interiore». Anche se, come in tutte le dipendenze, la regola rimane la medesima: la cosa migliore è innanzitutto non caderci.