Incidenti stradali e alcol. Jaretti Sodano (Fatebenefratelli): “Introdurre a scuola etica ed educazione tossicologica”
In Italia c’è, alle porte di Torino un centro di eccellenza che aiuta chi vuole veramente vincere la dipendenza dall'alcol: si tratta del servizio di Riabilitazione da alcol farmacodipendenze (Raf) dell'Ospedale Fatebenefratelli di San Maurizio Canavese. È l’unica struttura di qualità “specificamente” dedicata in Piemonte e una delle poche in Italia. Secondo l’ultima Relazione al Parlamento dell'Istituto superiore di sanità (maggio 2019), in Italia ci sono 8 milioni e 600mila consumatori di alcol a rischio, 68mila le persone alcol-dipendenti prese in carico dai servizi di cura, 4.575 incidenti stradali causati dall'uso di alcolici
Camilla e Gaia, falciate in strada a Roma, sette giovani vite spazzate via in Valle Aurina (Alto Adige) e ancora due donne morte sulla strada Arceviese (Senigallia). Questi tre tragici incidenti stradali, che hanno, rispettivamente, chiuso il primo il 2019 e gli altri due aperto il 2020, hanno un elemento in comune: chi li ha causati aveva bevuto troppo e le vittime erano pedoni. Un dato in linea con quelli forniti dall’Istat per il 2018 in cui si registrava un aumento del numero di pedoni tra le vittime (612, +2%). Secondo le stime preliminari del rapporto Istat-Aci sugli “Incidenti stradali” per il periodo gennaio-giugno 2019, c’è una riduzione del numero di incidenti stradali con lesioni a persone (82.048, pari a -1,3%) e del numero dei feriti (113.765, -2,9%), ma il totale delle vittime entro il trentesimo giorno (1.505, + 1,3%) è in lieve aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Secondo l’ultima Relazione al Parlamento dell’Istituto superiore di sanità (maggio 2019), in Italia ci sono 8 milioni e 600mila consumatori di alcol a rischio, 68mila le persone alcol-dipendenti prese in carico dai servizi di cura, 4.575 incidenti stradali causati dall’uso di alcolici. Serate di svago e divertimento finite in tragedia per colpa dell’abitudine allo sballo. Nei racconti di chi causa incidenti dopo aver bevuto troppo spesso ritorna la convinzione di essersi messi alla guida padroni di sé, eppure la consapevolezza di avere una dipendenza è fondamentale per intraprendere un cammino di uscita dal tunnel.
In Italia c’è, alle porte di Torino un centro di eccellenza che aiuta chi vuole veramente vincere la dipendenza: il servizio di Riabilitazione da alcol farmacodipendenze (Raf) dell’Ospedale Fatebenefratelli di San Maurizio Canavese. Si tratta dell’unica struttura di qualità “specificamente” dedicata in Piemonte e una delle poche in Italia. A dirigerla è Alessandro Jaretti Sodano.
“Quello dell’alcol è un problema trasversale che colpisce tutte le classi sociali e tutte le età. Facciamo un grosso lavoro di selezione prima del ricovero: il primo elemento che richiediamo è che ci sia la motivazione a uscire da questo tunnel, la gestibilità del paziente e una rete familiare di sostegno”, spiega il primario. “I risultati alla fine del percorso riabilitativo sono buoni. Ci siamo inventati un Indice di valutazione dell’efficacia dell’intervento riabilitativo, ma non abbiamo dati per un follow up a lungo termine. C’è un notevole reingresso dei pazienti, però”. Il periodo di degenza è di 28 giorni. La dipendenza dall’alcool è “multifattoriale”, per questo l’équipe che prende in carico i pazienti è “multidisciplinare con psichiatri, internisti, psicologi, educatori, assistente sociale, infermieri e operatori sociosanitari”. Il reparto ha 36 posti letto; ricovera donne e uomini (i tre quarti dei pazienti). In clinica, spiega il responsabile del centro, “non esiste la differenza tra alcolici e superalcolici, parliamo di quantitativi di alcol puro, in clinica si parla di drink (bevute): si considerano equivalenti, in termini di alcool, una lattina da 33 di birra a gradazione media, un bicchiere da 125 ml di vino a gradazione media (12-13 gradi) e un bicchierino di 40 ml di superalcolico, che si attesta a 38-40 gradi. Se bevi tre lattine di birra è come se ti facessi tre bicchieri di vino o tre bicchierini di superalcolico”.
Nella Raf sono ricoverate persone che presentano problematiche di uso e abuso cronico di bevande alcooliche e/o farmaci (ma non dipendenti da sostanze stupefacenti), a rischio di sviluppare una sindrome di astinenza grave o complicata da condizioni mediche. Nel 2018 (ultimi dati disponibili) sono stati effettuati 450 ricoveri (129 donne e 321 uomini), l’età media è 50,55 (minima 22 e massima 82), il 43,6% è in possesso di una licenza media, il 23,3% di un diploma superiore, il 14,7% di una qualifica professionale, l’8,7% della licenza elementare, l’8,2% di una laurea e lo 0,2% di nessun titolo. Il 32,4% risulta coniugato o convivente, il 32% separato o divorziato, il 31% non coniugato, il 4,4% vedovo; sul fronte lavorativo, il 45,1% non occupato, il 34% occupato, l’11,3% con pensione di invalidità e il 9,6% con pensione di anzianità. Tra i motivi del ricovero, l’85,6% è legato all’alcol, il 10,4 al mix alcol e farmaci e il 4,4% a soli farmaci. Nel 40% dei casi si registra un precedente ricovero; nel 70,7% dei casi si tratta di una dipendenza da più di 10 anni, nel 17,8% tra i 5 e i 10 anni e nell’11,1% di meno di 5 anni.
Gli obiettivi sono la disintossicazione, la disassuefazione dalle bevande alcoliche, la cura delle patologie somatiche presenti, la cura dei disturbi psichiatrici (presenti nei 2/3 dei pazienti), il cambiamento dei comportamenti inadeguati, l’implementazione delle capacità relazionali, lavorative e sociali, al fine del reinserimento nell’ambiente socio-culturale di provenienza, l’apprendimento di migliori stili di vita, l’acquisizione di abilità specifiche atte al miglioramento della propria esistenza, cioè il recupero della persona.
Rispetto alle drammatiche ricadute della dipendenza, come gli incidenti mortali che sempre più spesso insanguinano le nostre strade, “occorre iniziare un’attiva culturale a partire dalle scuole – sostiene Jaretti Sodano -. Ma si tratta di un discorso culturale che investe tutta la società. L’Italia è il primo produttore al mondo di vino, abbiamo una cultura ‘bagnata’ dall’alcol: per noi è un fattore gastronomico, culturale ed economico”. Per il primario, “negli ultimi 20 anni sono stati fatti passi avanti nell’azione dissuasiva. La legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati, la n. 125/2001, ha messo dei punti fermi e da lì si è partiti per la riforma del codice della strada (articolo 186), nonché per l’introduzione del reato di omicidio stradale; a ciò si aggiunge la regolamentazione della pubblicità. Quindi, si è fatto abbastanza. Una parte di normativa che non viene considerata è il codice penale che prevede tutta una serie di limitazioni. Comunque, ci sono già molti deterrenti: le commissioni provinciali alcologiche, ad esempio, lavorano con analisi molto accurate per ritirare la patente. Davvero resta il problema culturale”.
Secondo Jaretti Sodano, infatti, “abbiamo una sottocultura giovanilistica dello sballo che si declina nell’alcol e nelle droghe vecchie e nuove”. Perciò, “nelle scuole servirebbero corsi formativi e informativi, soprattutto con persone esperte delle problematiche”. E conclude: “Suggerirei che nella materia di educazione civica si insegnasse non solo la composizione del Parlamento, ma si introducesse l’etica e l’educazione tossicologica”.