“Il miracolo e il disincanto”: riflessioni rivolte a credenti e non credenti. Il libro di Giuseppe Savagnone
Il libro di Giuseppe Savagnone, docente di storia e filosofia e direttore per 29 anni del centro per la pastorale della cultura di Palermo aiuta a capire come dare senso ai fatti della vita dal punto di vista della fede
Riflettere per capire come cercare di dare un senso ai fatti della vita di credenti e non credenti. Di questo parla "Il miracolo e il disincanto. La provvidenza alla prova" il libro di Giuseppe Savagnone, docente per 41 anni di storia e filosofia nei licei statali e direttore per 29 anni del centro per la pastorale della cultura di Palermo. La presentazione del libro è avvenuta nei giorni scorsi presso l'Agorà del Gonzaga Campus di Palermo. Per l'occasione, oltre all'autore, sono intervenuti don Cosimo Scordato e lo studioso Augusto Cavadi.
"Questo libro non pretende di dare risposte esaurienti alle domande che le donne e gli uomini di oggi - credenti e non credenti - si pongono su quanto sta accadendo nel mondo - scrive Giuseppe Savagnone -. Ai credenti queste pagine propongono una rilettura meno abitudinaria e meno distratta di un caposaldo della loro fede, la provvidenza, non per eliminare dubbi, ma per renderli fecondi stimoli alla riflessione personale. Ai non credenti esse si rivolgono nella convinzione che, come in ogni credente si nasconde un non credente, allo stesso modo in ogni non credente si cela spesso un'inquietudine interiore che lo porta a non accontentarsi dei soli fatti e lo spinge a cercarne il senso. La visione cristiana della provvidenza non è certamente il punto di partenza di tale ricerca ma potrebbe esserne il punto d'arrivo".
Professore questo libro in che modo può avvicinarsi ai credenti ma anche a chi non è credente?
Penso che anche il non credente oggi si senta pressato da un problema di senso che vuol dire direzione ma vuol dire anche significato della propria vita. Un problema che, nel disgregarsi delle vecchie certezze e convinzioni, è diventato lancinante anche se nascosto perché di fatto non se ne parla molto. Il problema è oggi, infatti, così grave e radicale che nessuno ne vuole parlare. Purtroppo, spesso viene costantemente nascosto dietro un attivismo frenetico e un consumismo selvaggio. E' evidente che ci sia poca voglia di fermarsi a riflettere per non pensare ai fatti della nostra vita che potrebbero metterci molto in discussione.
L'invito, attraverso gli spunti offerti nel libro è quello comunque di provare a fermare la corsa della società moderna.
Spesso stiamo a suonare una nostra piccola orchestra che però si trova dentro una nave che sta per affondare come nel noto film Titanic. Sicuramente per utilizzare sempre quell'immagine del film, stiamo suonando con passione, ci stiamo rimproverando a vicenda lo sbaglio della nota oppure siamo esultanti perché a noi è riuscito il pezzo meglio degli altri ma alla fine la nave affonda. Se, quindi, non riusciamo a capire che senso ha tutto quello che stiamo facendo e che ci accade, la nostra vita è una nave che affonda perché l'unica certezza è data dalle cose che però sono effimere perché non durano.
Cosa fare allora?
Intanto la prima cosa è sicuramente quella di fermarsi per provare a riflettere un poco più approfonditamente su quello che ci accade. Dobbiamo ritornare a pensare. Certamente il libro non è un catechismo né vuole fare affermazioni dogmatiche ma dà invece, piuttosto una serie di suggestioni che invitano anche il non credente a porsi delle domande che affiorano poi anche nella coscienza del credente. Il libro è rivolto anche ai credenti che, troppo spesso non sviluppano queste domande perché magari ne hanno paura. I dubbi sono sempre salutari e, in qualche modo, il libro ne solleva alcuni. Si offrono anche delle prospettive di soluzioni ma sono sviluppate in chiave razionale.
Quando il libro era in pubblicazione lei ha avuto il Covid in forma grave…
Sì, subito dopo la mia guarigione è uscito il libro che avevo scritto prima del Covid. In genere un libro si scrive per commentare una esperienza ma invece in questo caso l'esperienza è stata vissuta quando questo era in fase di pubblicazione. Avere superato dopo un lungo ricovero anche in terapia intensiva il Covid, ha confermato ancora di più quello che scrivo nel libro.
Da quale punto di vista lo afferma?
Credo che il bene non sia mai vinto totalmente dal male perché c'è sempre una vittoria sul male. La mia malattia è stata anche l'occasione che mi ha fatto scoprire la manifestazione di tantissimo affetto fatta di amicizia e grande umanità nei miei confronti. Mentre ero ricoverato, infatti, sono stato testimone diretto di tutta questa grande ricchezza umana, davvero molto bella, che c'è stata.
E' fondamentale quindi la percezione che non siamo soli…
Sì, nella nostra vita non siamo soli. Anche le cose peggiori tendono a non distruggerci se siamo capaci di cogliere la grande ricchezza di relazionalità che c'è nella nostra vita. Davanti alla sofferenza si riscopre anche se stessi, si riscopre il proprio io davanti al mondo. Sicuramente, oggi c'è un calo di spiritualità nella nostra società sia di credenti che non credenti. Spesso sono proprio i credenti a non averla se non in alcune forme sterili fatte di formule chiuse, riti e abitudini. A volte, invece, proprio nelle scelte di vita di alcuni non credenti si ritrova uno slancio spirituale interessante. Ciò significa che, la spiritualità oggi non può identificarsi soltanto con la fede perché ognuno la può avere a modo suo. Una persona che è capace di riflettere ed avere una sua interiorità è chiaro che avrà una fede diversa. E' questo non dipende dai contesti culturali di vita perché un contadino può avere una spiritualità superiore ad un magnate della finanza. La spiritualità non va confusa nemmeno con una finezza intellettuale e culturale che è accessibile solo a pochi. Ci può essere una spiritualità profonda anche nell'uomo semplice. Tutto questo resta una sfida grossa per i credenti perché la spiritualità è legata al messaggio della domanda del dubbio sano e costruttivo. Il cristianesimo non è fondamentalista e, pertanto, non è fatto da una serie di affermazioni ma anzi ci spinge a porci continuamente domande in una dimensione di cammino e di crescita della nostra vita.
Qual è allora l'appello che possiamo fare alla società di oggi?
L'appello è quello che si possa riprendere in considerazione il concetto, frettolosamente liquidato come dogmatico e assolutamente bigotto, come quello di provvidenza prendendola invece di nuovo sul serio come un'occasione seria per riflettere su se stessi e sulla nostra vita. Questo si potrà fare solo superando il pregiudizio che questo concetto possa essere solo consegnato al bigottismo devozionista, scoprendone invece la profonda portata umana che poi si potrà anche discutere o rifiutare ma che prima di tutto bisogna capire. Il libro cerca di presentare questa problematica.
Lei è stato docente per 41 anni che cosa si sente di aggiungere per i giovani?
L'appello alla riflessione avviene prima di tutto per i giovani. Nella mia vita mi sono impegnato molto per contribuire alla loro crescita. I giovani se, oggi hanno le sollecitazioni giuste, riescono a riflettere molto sviluppando questo amore per la ricerca del significato profondo delle cose della vita manifestando proprio la sete di sapere e di dare un senso anche al loro studio. Con alcuni di loro ho instaurato delle relazioni bellissime, proprio sulla base del fatto che il compito della scuola non è di insegnare cose ma di insegnare a pensare. Certamente, le nozioni ci vogliono e il professore deve fare studiare però quello che conta è la qualità di questa conoscenza che deve essere sempre nutrita dalla ricerca e dalla curiosità che ci sta dietro.
Serena Termini