Il mercoledì delle ceneri e l’immagine della Grazia. La poesia di Eliot ci mostra come il cammino penitenziale sia riscoperta della bellezza
Un cammino attraversato dalla bellezza, dalla grazia, dal fascino femminile.
“Signora dei silenzi
quieta e affranta
consunta e più integra
rosa della memoria
rosa della dimenticanza
esausta e feconda
tormentata che doni riposo
la Rosa unica
ora è il giardino
dove ogni amore finisce
terminato il tormento
dell’amore insoddisfatto”.
È certo che questi versi di Eliot rimarranno nella storia della poesia come continuazione del miraggio-realtà dantesco, vale a dire l’unificazione in una sola immagine di tutta la grazia, la sacralità, la bellezza delle figure femminili da lui incontrate tra il Purgatorio e il Paradiso. Nel Paradiso Terrestre fa la sua apparizione la grazia di Matelda, che appare come “subitamente cosa che disvia/ per maraviglia tutto altro pensare” raccogliendo fiori e cantando: una figura che torna ad affascinare non solo il poeta del Novecento, ma anche altri, ad esempio il Chesterton del suo capolavoro, “L’uomo che fu giovedì”, a conclusione del quale il protagonista osserva estatico “la ragazza dalle chiome d’oro rosso, che recideva lillà (…) con la sua inconsapevole gravità di fanciulla”. Eliot riprende questa fascinazione nel “Mercoledì delle Ceneri”, apparso in volume nel 1930, ma con brani poetici pubblicati su riviste fin dal 1927, testimonianza del ritorno alla fede dopo la grande crisi descritta nella “Terra desolata”, che compie oggi cent’anni.
Il chiacchiericcio, l’amore inteso come pura sensualità e come destino di abbandono e non senso, l’esibizione della cultura come salottiera gara a chi sa più cose, le feste inutili descritte magistralmente da Scott Fitzgerald, la solitudine nella pazza folla, la medesima narrata il secolo prima da Thomas Hardy, gli echi di una grande guerra che fu anche strage di innocenti, hanno trovato uno sbocco: l’accettazione della Grazia, l’inizio di un cammino penitenziale, come suggerito dal titolo stesso. E qui dobbiamo fermarci un attimo, visto che anche noi siamo all’inizio di questo cammino, che gli scettici vedono come insieme di atti masochistici e autolesionisti, e che invece, come abbiamo appena visto, è attraversato dalla bellezza, dalla grazia, dal fascino femminile. Che torna prepotentemente nella sua visionaria tensione verso l’unificazione con la figura mariana, con la Signora che appare come la Vergine e insieme come colei che “onora la Vergine in meditazione”, come “Sorella, madre/ e spirito del fiume, spirito del mare” alla quale presentare una delle più belle preghiere laiche del Novecento:
Non sopportare che io sia separato”.
La celebrazione delle Ceneri dovrebbe farci pensare in profondità a tutto questo, a come, da Dante a Chesterton fino ad Eliot, ma con richiami molto più antichi, a partire dalla Genesi, a Cavalcanti, a Shakespeare, a Pascal, san Paolo, cammino penitenziale non significhi abbandono del mondo e dell’altro, semmai una più autentica ricerca da parte di chi ha scoperto “che troppo/ discuto con me stesso e troppo spiego” e si sta avviando nella strada della comunione nella condivisione e nello sguardo non più solo dentro di sé, ma verso l’altro.