Il mercoledì delle Ceneri di Eliot. Dopo la stagione della desolazione il grande poeta torna alla fede e alla preghiera

Eliot si arrende alla Grazia che non è solo quella del Padre, ma della visione femminile che come la Matelda del Purgatorio diviene tramite con la grazia della Madre

Il mercoledì delle Ceneri di Eliot. Dopo la stagione della desolazione il grande poeta torna alla fede e alla preghiera

Una preghiera continua, fatta di quotidianità e di antiche mitologie, di Dante e, ancora prima, dei Provenzali e il loro omaggio ad una signora mai conquistata, di incubi ma anche di speranza, intravista nell’Europa dei colti dopo la prima guerra mondiale, imperavano scetticismo, derisione, discussioni solo per veder prevalere il proprio punto di vista. Il “Mercoledì delle Ceneri” di Thomas Stearns Eliot ritorna a accompagnare il tempo di riflessione quaresimale in una atmosfera che rimanda al Purgatorio dantesco e che in qualche modo rappresenta una delle riposte d’occidente alla ricerca della preghiera del cuore iniziata nei deserti egiziani e ripresa a Kazan alla fine dell’Ottocento con i Racconti di un pellegrino russo.

Eliot si arrende alla Grazia che non è solo quella del Padre, ma della visione femminile che come la Matelda del Purgatorio diviene tramite con la grazia della Madre, colei che è anche “Sorella benedetta, santa madre, spirito della fonte, spirito del giardino”, e non sfugga il riferimento all’antico Eden perduto.

Abbiamo accennato allo scetticismo degli anni attraversati da Eliot prima del cammino di conversione, che ha avuto il suo culmine con “La terra desolata” nel 1922. In “Il mercoledì delle Ceneri”, uscito in volume nel 1930, ma già pubblicato -seppure in frammenti- su alcune riviste tra il 1927 e il 1928, finalmente il poeta può pregare di essere liberato dalla condanna e dall’infelicità dello scetticismo chic: “Prego Dio (…) di poter dimenticare/ queste cose che troppo/ discuto con me stesso e troppo spiego”.

La sensazione è che l’intero poema sia una quotidiana, diurna e notturna, preghiera in cui non troviamo solo il riferimento all’orazione esplicita, ma il richiamo ad una moderna preghiera del cuore fatta di semplici sguardi sulle cose, sugli alberi e i fiori che si incontrano nelle peregrinazioni quotidiane, sugli interni dei palazzi, con la sensazione improvvisa che la tentazione sia in agguato nelle rampe delle scale o nelle disquisizioni caparbie dei colti che fanno a gara a chi ne sa di più.

La presenza di grandi maestri qui non è infatti presunzione enciclopedica, ma parte di una orazione le cui parole vengono da assai lontano, e da altri viaggi: quello di Dante nei tre regni, e che incontrando nel Purgatorio il grande Arnaut Daniel si sente invitato alla preghiera della redenzione e del mutuo aiuto, con quello stupendo inizio, “Ara vos prec”, che racchiude una cortese richiesta: “ora vi prego per quel valore che vi porterà al sommo della scalinata, ricordatevi di me nel momento della mia pena” che già Eliot aveva fatto rivivere nella “Terra desolata”.

Ancora una volta l’intuizione che pregare e vivere siano due facce della stessa medaglia: nello studio, nei rapporti affettivi, in un nuovo rapporto con l’altro, non più l’egocentrismo sterile (“Insegnaci a aver cura”), nel pensiero della morte che ritorna con le immagini, di ascendenza biblica, delle ossa che rivivono già presenti nella “Terra desolata”, tutti fattori che in un colto in cerca di redenzione “ravvivano la rima antica con un verso nuovo”.

Dallo studio come dalla quotidianità, dalla cultura come dall’umiltà di riconoscersi peccatore nasce l’intuizione della redenzione del tempo, del sogno, dell’amore terreno oltre la voluttà e il piacere d’un tempo, fino al desiderio del ritorno dopo la separazione dal giardino: “Non sopportare che io sia separato”.

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Fonte: Sir