Il mercato dà sempre più valore alle nostre produzioni agroalimentari, che vanno difese ancora meglio. Bella e ricca
A dire quanto grande sia il valore delle produzioni italiane, e agroalimentari in particolare, sono i numeri.
L’Italia vale. Non si tratta di essere campanilisti. A dire quanto grande sia il valore delle produzioni italiane, e agroalimentari in particolare, sono i numeri. Che, tuttavia, ci devono indicare anche quanto sia importante difendere, oltre che valorizzare, quello che facciamo. In giorni complessi come quelli che stiamo attraversando – giorni nei quali Covid-19 appare essere un moloch senza pietà, ma anche una scusa per chi vede l’Italia sempre una fonte di guai -, è necessario rendersi conto fino in fondo dell’importanza, economica e culturale, di quanto siamo e facciamo.
A farci pensare, in positivo, sono per esempio i dati della sesta edizione dell’Osservatorio Immagino Nielsen Gs1 Italy che raccontano come, nella grande distribuzione organizzata, siano oltre 19mila i prodotti alimentari che indicano esplicitamente sulle confezioni la loro italianità e che questi negli ultimi dodici mesi abbiano realizzato oltre 7 miliardi di euro di vendite. Certo, leggermente meno dell’anno precedente, ma sempre qualcosa di imponente. Un patrimonio che va di pari passo con un altro tesoro. Stando alla Fondazione Qualivita, infatti, l’insieme dei nostri prodotti alimentari certificati (Dop e Igp), sarebbe il fondamento della Dieta mediterranea. Questione di salubrità e qualità dei prodotti e quindi anche di filiere di produzione, che riescono spesso a conciliare tradizione agricola con le moderne tecnologie.
La questione di fondo, tuttavia, è la difesa di tutto questo. Impresa non di poco conto in tempi normali, che è diventata adesso ancora più difficile. Se, infatti, fino a poche settimane fa uno dei crucci degli agricoltori e delle industrie di trasformazione era dato dai tanti falsi agroalimentari in giro per il mondo, adesso l’emergenza Covid-19 e il conseguente quasi blocco delle esportazioni italiane, sta rischiando di mettere in crisi buona parte della filiera. Per capire meglio, basta qualche dato riportato da Coldiretti. Con l’Italia “isolata” sarebbero a rischio 44,6 miliardi di esportazioni agroalimentari. E troppi, in questi giorni, sono i vincoli alle frontiere, le difficoltà logistiche e il calo della domanda estera. Dietro, occorre dirlo subito, sono spesso strumentalizzazioni e concorrenza sleale che anche in tempi grami come questi non mollano la presa sui mercati più ricchi. Solo la stretta al Brennero voluta dall’Austria, ha messo in forse circa i due terzi (63%) delle esportazioni agroalimentari italiane che – precisa una nota Coldiretti – interessano i Paesi dell’Unione Europea con la Germania che si classifica come il principale partner con 7,2 miliardi. Un’ eventualità, quella dei blocchi alle frontiere di prodotti agroalimentari italiani, che ha fatto scattare subito azioni diplomatiche importanti, ma che dice tutto sulla gravità della situazione che la ministra per le politiche agricole, Teresa Bellanova, ha definito “allarmante e fin troppo eloquente” aggiungendo poi che quelle di alcuni Paesi sono “richieste e comportamenti irricevibili”. Poi ci sono anche le speculazioni che riguardano prodotti specifici, come il latte oggetto, in questi giorni, di rinegoziazioni di prezzo al ribasso.
Insomma, i tanti tesori, non solo economici ma anche ambientali, dei quali l’Italia agroalimentare è ricca, vanno difesi a più non posso e più di prima. Per questo, l’appello “mangiare italiano” arrivato pressoché da tutte le organizzazioni agricole ha un senso forte, che non significa una chiusura autarchica ma la voglia di preservare qualcosa che significa lavoro e benessere.