Il dibattito sull’autonomia si ripresenta nello scenario politico italiano
L'autonomia rafforzata di alcune Regioni è il segnale di cui oggi ha bisogno un Paese attraversato da profonde fratture e strutturali disparità di trattamento?
Si torna parlare di autonomia differenziata (o rafforzata) delle Regioni, cioè di quelle “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” che hanno trovato spazio nell’art.116 della Costituzione in seguito alla riforma del 2001. Il tema è riemerso con forza nel dibattito politico-istituzionale, con l’idea di portare a compimento entro la legislatura il percorso che ha visto fare da battistrada Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, a cui si sono aggiunte o si stanno aggiungendo altre Regioni.
Se ne torna a discutere dopo una lunga pausa che ha coinciso di fatto con la stagione più drammatica della pandemia. L’emergenza Covid non ha soltanto spostato altrove l’attenzione e le priorità, ma ha fatto anche emergere un rapporto problematico tra Stato e Regioni nella delicatissima materia della tutela della salute. Se per la pandemia il nodo è stato risolto in modo perentorio dalla Corte costituzionale (secondo la Carta la “profilassi internazionale” è di competenza statale senza alcun dubbio) è rimasta la percezione di un tasso più o meno elevato di disordine dovuto a una non adeguata messa a punto delle dinamiche istituzionali e organizzative in un settore di eccezionale importanza per il Paese.
Più in generale, però, la domanda che oggi viene da porsi è se nel contesto attuale, segnato da una crisi che è iniziata con le conseguenze del Covid e ora si è riacutizzata per la guerra in Ucraina (con tutte le sue implicazioni geopolitiche ed economiche), sia davvero il momento giusto per rimettere all’ordine del giorno un tema così altamente divisivo.
Diciamo sùbito che, nell’ambito di una Repubblica che è e deve restare “una e indivisibile” (art.5 della Costituzione), le autonomie rappresentano un valore e una risorsa di fondamentale rilevanza. E lo specifico tema dell’autonomia differenziata non può essere considerato un tabù se viene affrontato nei termini indicati dalla Carta nel già citato art.116 e alla luce di tutto l’insieme dei principi costituzionali che l’argomento chiama in causa. Ciò premesso e senza entrare nel dettaglio dei pur decisivi aspetti tecnico-giuridici, la questione che si vuole porre è se l’autonomia rafforzata di alcune Regioni sia il segnale di cui oggi ha bisogno un Paese attraversato da profonde fratture e strutturali disparità di trattamento o se invece non bisognerebbe privilegiare, nei pochi mesi che mancano alla fine della legislatura, un approccio che punti a incrementare la coesione territoriale e i legami di solidarietà.
Un esempio. Presentando nei giorni scorsi un rapporto della Banca d’Italia (non un qualunque centro-studi) sul divario Nord-Sud, il governatore Ignazio Visco ha sottolineato ancora una volta “la gravità del ritardo di sviluppo del Mezzogiorno”, da cui “conseguono profonde disuguaglianze economiche e sociali” e “risulta frenata la crescita dell’intera economia nazionale”. Ma ha anche aggiunto che nella fase avviata con il Pnrr “se sapremo ben impiegare le risorse a disposizione e perseverare nei programmi di riforma non c’è motivo di ritenere che non si possano interrompere le tendenze negative del passato per riportare il Mezzogiorno e l’intera economia nazionale su un sentiero di sviluppo sostenuto”. E’ una riflessione che non si dovrebbe lasciar cadere.