I coltivatori sono alle prese con gli effetti del clima ma anche dei mercati e delle politiche internazionali
Il comparto agricolo e agroalimentare è soggetto a tutti i contraccolpi di un sistema economico ormai globalizzato.
Stretta fra problemi interni di mercato e sollecitazioni negative in arrivo dall’estero – senza contare i guai provocati dal maltempo -, l’agricoltura italiana soffre in questo periodo più del solito. Sono gli effetti, molteplici, delle condizioni di produzione proprie delle imprese agricole, ma anche del fatto che il comparto agricolo e agroalimentare è comunque soggetto a tutti i contraccolpi di un sistema economico ormai globalizzato.
Sintetizzando la situazione di mercato attuale, gli osservatori del settore agricolo parlano ormai apertamente di deflazione. Stando a Coldiretti, per esempio, gli agricoltori si sono visti pagare la frutta (dalle albicocche alle pesche fino alle susine), pochi centesimi: circa il 30% in meno rispetto allo scorso anno e al di sotto dei costi di produzione. L’osservazione è stata fatta analizzando gli ultimi dati Istat relativi al comparto e, come già in passato, viene sintetizzata con un’immagine colorita ma efficace e soprattutto corrispondente a molte realtà: “Gli agricoltori per potersi permettere un caffè devono vendere tre chili di frutta”.
Alla base di tutto questo, spiegano sempre i coltivatori, sarebbero le “distorsioni lungo la filiera e le importazioni selvagge di prodotto straniero di bassa qualità spacciato per italiano che invade il mercato provocando squilibri”. Ad accentuare poi i problemi, ci si sono messi anche non solo le condizioni climatiche ma anche particolari malattie delle piante (dalla famigerata Xylella alla Cimice asiatica).
L’indicazione che emerge è semplice. Per ottimizzare la spesa, ottenere il miglior rapporto prezzi-qualità e aiutare il proprio territorio e l’occupazione in questo momento di difficoltà, il consiglio della Coldiretti è, nell’acquistare frutta, di verificare l’origine nazionale, acquistare prodotti locali che non devono subire grandi spostamenti, comprare direttamente dagli agricoltori nei mercati o in fattoria. Consiglio che, purtroppo, non è sempre e così facile mettere in pratica. Mentre, fra l’altro, i giochi dei mercati internazionali hanno effetti che colpiscono anche quello interno, oltre che i bilanci aziendali. Bastano due esempi per capire meglio.
Circa l’olio di oliva, sempre i coltivatori hanno rilevato quella che è già stata definita come una “invasione” di prodotto dalla Spagna con importazioni che nel 2019 pare siano già cresciute del 48% in quantità. Il risultato sarebbe una crescita esponenziale “sugli scaffali dei supermercati di prodotti di scarsa qualità a prezzi stracciati proprio nel momento in cui sta arrivando l’olio nuovo italiano”. Il risultato? “Un effetto dirompente che rischia di vanificare l’ottima annata produttiva”.
Poi ci sono le prime conseguenze delle politiche di commercio internazionale di colossi economici come gli Usa. Anche qui vale quanto denunciato dai coltivatori diretti. A un mese dall’avvio dei dazi Usa sui prodotti europei pare siano già calate del 20% le vendite dei prodotti agroalimentari italiani negli Stati Uniti. A pesare i superdazi che, tanto per capire, sono passati per il Parmigiano Reggiano e per il Grana Padano dagli attuali 2,15 dollari al chilo a circa 6 dollari al chilo; in questo modo, il prezzo sugli scaffali è salito dai circa 40 dollari al chilo ad oltre i 45 dollari. E non basta. Se già la programmazione nell’agroalimentare è difficile per natura, adesso lo è infatti ancora di più proprio con riferimento ai mercati internazionali. L’amministrazione Trump ha peraltro minacciato di avvalersi – ricorda la Coldiretti – della cosiddetta regola del “carosello” (carousel retaliation), che le consentirebbe di modificare periodicamente la lista dei dazi e la percentuale: dopo i primi 120 giorni e successivamente ogni 180 giorni, aumentando il grado di incertezza per gli Stati Membri Ue. E’ una prospettiva non rosea se si pensa che il mercato Usa è il primo extraUe per l’Italia e che vale oltre 4 miliardi di dollari.
In definitiva, gli agricoltori devono ancora una volta stringere i denti. Non c’è dubbio che abbiano le risorse per farlo, ma diventa sempre più difficile.