Gli uomini pesce: storia, percezione e crisi climatica nel nuovo romanzo di Roberto Bui aka Wu Ming 1

Niente adesioni ad appelli. Nessuna dichiarazione a stampa. Al collettivo di scrittori (nato un quarto di secolo fa a Bologna con la leggendaria narrazione di Q) non serve la visibilità mediatica rispetto al “fascismo nell’epoca di Giorgia Meloni”.

Gli uomini pesce: storia, percezione e crisi climatica nel nuovo romanzo di Roberto Bui aka Wu Ming 1

Roberto Bui aka Wu Ming 1 non fa eccezione. Tuttavia, come nel suo ultimo romanzo solista Gli uomini pesce (Einaudi Stile Libero, 632 pagine, 21 euro), evidenzia la sineddoche in carne e ossa della continuità dal ventennio di Mussolini alla Repubblica nata dalla Resistenza: «Il poliziotto Marcello Guida negli anni ’30 era il direttore della “colonia di confino politico” di Ventotene, di cui ho raccontato con La macchina del vento. Dopo la strage di piazza Fontana nel 1969, l’ex partigiano Sandro Pertini da presidente della Camera arriva a Milano e si rifiuta di stringergli la mano. Lo conosceva bene dai tempi di Ventotene. Come Guida, dopo il 1945 restarono al loro posto prefetti, questori, dirigenti delle forze dell’ordine, funzionari dello Stato perfino se avevano aderito alla Repubblica di Salò…».

Il lavoro di archivio, da storico, quanto costa e incide?

«Nel caso dei libri di Wu Ming incide in modo determinante, decisivo. È un passaggio imprescindibile. Anzi, è… più passaggi, perché all’archivio in tutte le sue forme si continua a tornare. “Archivio” è l’insieme cangiante di tutte le fonti che consultiamo, di ogni documento. E documento può essere anche un manufatto, un monumento, un luogo. Spesso archivio e strada coincidono. Oppure, nel caso de Gli uomini pesce, archivio e campi, archivio e canali, eccetera. Consultiamo l’archivio anche facendo un sopralluogo. Quanto al costo, soprattutto in termini di tempo, è alto. Se non esercitassi la professione di romanziere a tempo pieno, certe ricerche non potrei permettermele o comunque sarebbero molto diverse».

C'è tanta Padova nel libro. Perché?

«Sono due le principali città verso cui pencolano studenti e intellettuali ferraresi,  intesi nell’accezione più estesa possibile: Bologna e Padova. Chi non fa l’università a Ferrara, o scende a Bologna come me, o sale a farla a Padova, come alcuni miei amici. È poi naturale che una geografa che si occupa di Delta del Po e di bonifiche, quale è la mia protagonista Antonia, stia all’UniPd. Lì insegnano davvero geografe e storiche le cui ricerche su questi temi sono fondamentali. Già che c’ero, ho voluto omaggiare uno spazio autogestito che mi ha più volte ospitato e che ora non c’è più, il Bios Lab. Antonia e suo marito Sonic abitano proprio lì di fronte, nel quartiere Palestro».

Apparenze / realtà: vale per il protagonista morto, per Igor il Russo, per le "emergenze climatiche"... e per le sinistre. Qual è lo scarto fra percezione e fattualità, non solo letterariamente?««

«Dentro quello scarto, che a volte è largo come un canyon, si colloca il romanzo. Gli uomini pesce è anche una meditazione in forma narrativa su come percepiamo o non percepiamo la crisi climatica: non a caso è ambientato durante la siccità dell’estate 2022. Antonia riflette continuamente su quali siano i meccanismi che bloccano la nostra consapevolezza di quel che sta accadendo. Conia anche dei concetti ad hoc, come “meteoriduzionismo”, per individuare i problemi nel modo giusto. Con la morte di suo zio Ilario,  però, lei stessa si accorge di aver avuto un enorme problema di percezione della realtà, e allora si chiede come sia potuto succedere».

Una "scrittura contaminata" e storie multiple che si intrecciano. Come scatta l'input ad un romanzo simile?

«Quello che racconto è il territorio in cui sono nato e cresciuto, il lato ferrarese del Delta del Po. Un territorio anfibio e ambiguo, sfuggente, perturbante, per molti versi estremo. È dal 2017 che ragiono su come “cantarne la mappa”. Ho capito che avrei potuto farlo soltanto con una scrittura altrettanto anfibia e perturbante, e una trama altrettanto estrema nella sua molteplicità. Qualcuno ha detto che nel romanzo “c’è troppo”: tantissimi temi, tantissime sottostorie, tantissimi personaggi, tantissimi riferimenti. Ma erano necessari. E tutto torna, nessun riferimento è lì a caso, ma “fa rima” con almeno un altro che magari arriva cento pagine dopo. Sono “rime narrative”, piazzate come bombe a tempo. E in molti casi si scoprono rileggendo il libro».

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)