Giovedì santo. Le promesse dei sacerdoti
Quest’anno niente Messa Crismale, ma il rinnovo delle promesse sacerdotali è più forte che mai
Quando nel 2013 Papa Francesco, durante la sua prima Messa Crismale celebrata nella Basilica di san Pietro, con quella frase che rimarrà nella storia, invitò noi sacerdoti ad essere pastori che hanno l’odore delle pecore, io c’ero e compresi subito la forza di quella immagine usata dal vescovo di Roma preso “quasi alla fine del mondo”. Con i miei tanti confratelli presenti, che come ogni anno all’inizio del triduo pasquale riempimmo mezza Basilica, ritrovandoci intorno al nostro vescovo per rinnovare le promesse sacerdotali, ascoltai attentamente l’esortazione ad essere preti che si fanno carico delle fatiche del gregge affidatoci. Al termine di quella Messa Crismale tutti noi commentammo quella frase, cercando di capire come avremmo potuto nel nostro tempo avere l’odore delle pecore, e di come la nostra identità sacerdotale potesse profumare in tempi di crisi vocazionale. A distanza di sette anni, in piena pandemia da coronavirus, ci ritroviamo a non poter celebrare la Messa Crismale, a non poterci ritrovare fisicamente uniti nell’abbraccio paterno del nostro vescovo, a non poter confermare pubblicamente il nostro desiderio di conformarci a Cristo sacerdote, a non poter vivere insieme la nostra festa.
Eppure, mi sento di poter dire che mai come quest’anno abbiamo l’occasione di far risuonare in modo forte il nostro si a Cristo e al suo popolo, il nostro amore per Gesù e per le pecore che ci ha affidato.
Mai come in questi giorni, dai tempi della seconda guerra mondiale, in ogni parte d’Italia, noi abbiamo la possibilità di stare in mezzo al gregge, di farci carico dei dolori e delle fatiche di un popolo sofferente, e di confermare, così, le nostre promesse sacerdotali non tanto con le parole, ma con i fatti. Penso ai miei tanti confratelli che nell’ultimo mese hanno dato letteralmente la vita, morendo per stare accanto ai malati negli ospedali, ai cappellani che nelle carceri stanno confortando più del solito chi è recluso e i loro familiari che non possono far loro visita, ai parroci che da nord a sud si stanno prodigando in tanti modi pur di far sentire la loro vicinanza, il conforto del Vangelo e l’aiuto concreto della carità ai loro parrocchiani, pur nella distanza fisica. Penso alle messe che ogni giorno tutti noi stiamo celebrando senza il nostro popolo in chiesa, ma con il nostro popolo nel cuore e per il nostro popolo, alle vie nuove offerteci dal web per permettere al gregge di non sentirsi abbandonato da Gesù, ai tetti e ai campanili delle chiese trasformati in altari per aiutare i fedeli a non perdere il contatto visivo con il sacramento della presenza reale di Cristo, ai campetti degli oratori trasformati in luoghi per la benedizione dei defunti così da accompagnarli nella preghiera in modo dignitoso e nel rispetto delle norme di sicurezza, alle sale parrocchiali trasformatesi in centri di raccolta viveri per le famiglie improvvisamente sprofondate nella povertà, ai “telefoni samaritani” con i quali si cerca di tenere compagnia agli anziani soli e fragili per aiutarli a vincere le loro paure.
Tutto questo ed altro, paradossalmente in un contesto di assenza fisica, sta facendo sentire al popolo di Dio l’odore di noi preti, il profumo delle pecore che stiamo portando sulle spalle, quello con il quale la nostra promessa sacerdotale sta risuonando nel cuore della gente non come parole vacue ma come testimonianza concreta della nostra identità.
Pertanto, quest’anno niente Messa crismale, è vero, niente possibilità per noi di festeggiare il nostro sacerdozio, certo, niente celebrazione liturgica solenne intorno al nostro vescovo, purtroppo, ma il rinnovo della nostra promessa in questo 2020, segnato dalla pandemia, è chiaro e forte, come non lo era da tanto, da troppo tempo. Talmente forte che sono certo farà germogliare, nei tempi e nei modi che solo Dio conosce, future vocazioni al sacerdozio ministeriale.
Maurizio Mirilli