Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali. Le reti comunicative: un telaio costruito sulle persone
Fare memoria è sinonimo di vita che si fa storia. Lo scrive Papa Francesco nel Messaggio per la 54ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (domenica 24 maggio) quando afferma che “l’uomo sarà chiamato, di generazione in generazione, a raccontare e fissare nella memoria gli episodi più significativi di questa Storia di storie”. È questo uno dei compiti del comunicatore cristiano: vivere illuminandosi e nutrendosi del ricordo della vita di Gesù e dalle tante vite che hanno provato a seguirne i passi. Come quei Figli d’Israele (citati nel passo dell’Esodo che dà il titolo al Messaggio) che vengono liberati dalla schiavitù proprio grazie a un Dio che si ricorda di loro e li rende poi liberi dall’oppressione. Le parole di Francesco sono un richiamo a non dilapidare il patrimonio delle nostre biografie, da intendersi non come sterili resoconti di vite ordinarie, ma come “meraviglie stupende”, capaci rinnovarci e rigenerarci ogni giorno
L’umanità alla prova della memoria. Non è il titolo di un saggio storico, ma rappresenta una delle sfide del vissuto di ogni uomo. Memoria, però, non vuol dire soltanto fissare i ricordi nella mente o accantonarli nel forziere della coscienza. Significa risvegliare la percezione di ciò che è stato, (ri)conoscere le esperienze passate e (ri)viverle alla luce del presente. Platone definisce “reminiscenza” (ἀνάμνησις, anamnesi) questa predisposizione umana alla conoscenza come ricordo, e spiega come essa non derivi dai sensi – che sono ingannevoli –, ma sia risvegliata dall’incontro con l’esperienza delle cose del mondo.
Fare memoria è, quindi, sinonimo di vita che si fa storia.
Proprio come scrive Papa Francesco nel Messaggio per la 54ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (domenica 24 maggio) quando afferma che “l’uomo sarà chiamato, di generazione in generazione, a raccontare e fissare nella memoria gli episodi più significativi di questa Storia di storie”.È questo uno dei compiti del comunicatore cristiano: vivere illuminandosi e nutrendosi del ricordo della vita di Gesù e dalle tante vite che hanno provato a seguirne i passi.
Come quei Figli d’Israele (citati nel passo dell’Esodo che dà il titolo al Messaggio) che vengono liberati dalla schiavitù proprio grazie a un Dio che si ricorda di loro e li rende poi liberi dall’oppressione.
Le parole di Francesco sono un richiamo a non dilapidare il patrimonio delle nostre biografie, da intendersi non come sterili resoconti di vite ordinarie, ma come “meraviglie stupende”, capaci rinnovarci e rigenerarci ogni giorno.
Per il Pontefice la comunicazione è questo: è l’essenza stessa di Dio che si fa uomo e che (si) narra, che è capace di “tessere” bellezza e affrontare le sfide della vita. Ma anche di alterare, distruggere e sparpagliare i fili della verità. Il rimando è alle tante derive tipiche della cultura comunicativa contemporanea. Fake news e deepfake, ma anche maldicenze, indifferenza, mondanità, corruzioni, sono tutti esempi nefasti di una comunicazione snaturata e innaturale. Per questo motivo, aggiunge il Papa “abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni dell’oggi”.
Il Messaggio di quest’anno sollecita a considerare le nostre reti comunicative come
un telaio costruito sulle persone (e non sugli strumenti),
che si alimenta attingendo da ciò che è stato per trasferirlo nell’adesso e nel domani. Non è un caso che i Messaggi del Pontefice argentino per le Giornate precedenti tendano a tralasciare la dimensione tecnica per sbilanciarsi su categorie e processi profondamente umani. Scrivere di “incontro” (2014), “famiglia” (2015), “misericordia” (2016), “speranza e fiducia” (2017), “verità e pace” (2018), “comunità” (2019), ha significato donare delle sintesi di fede e vita e indirizzare il discorso sulla comunicazione e sui media in una prospettiva umana, sempre ispirata e mai distaccata dal dato di fede.
La comunicazione diventa, dunque, l’appiglio per costruire una nuova forma di comunità cristiana fondata sulla prossimità e in cui tutti sono protagonisti.
“Perché nessuno – nota ancora Francesco nel Messaggio – è una comparsa nella scena del mondo e la storia di ognuno è aperta a un possibile cambiamento. Anche quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio”.