Giornalismo. La guerra non è finita, continuiamo a tenere i riflettori accesi sull’Ucraina
La guerra che si combatte nel cuore dell’Europa è pressoché scomparsa dalle prime pagine dei quotidiani e relegata in quelle interne. Così come nei grandi tg nazionali occupa talvolta il quarto o quinto titolo di lancio. E spesso neppure quello. Scelte analoghe fanno le radio nazionali. Per non parlare dei social, quasi indifferenti al conflitto. La crisi del governo Draghi, le elezioni anticipate a settembre e l’orribile scia di una cronaca nera senza precedenti hanno preso il sopravvento e conquistato spazio nei titoli principali
Giorno dopo giorno, inesorabilmente, la guerra in Ucraina perde il suo appeal mediatico. Sembra quasi che l’emozione e l’angoscia della prima ora, quel terrificante 24 febbraio di quest’anno in cui cominciarono i bombardamenti russi sulle città ucraine e i tank di Putin conquistarono terreno per “denazificare” l’ex alleato fraterno, stiano lasciando spazio ad un lento e inesorabile oblio.
La guerra che si combatte nel cuore dell’Europa è pressoché scomparsa dalle prime pagine dei quotidiani e relegata in quelle interne.
Così come nei grandi tg nazionali occupa talvolta il quarto o quinto titolo di lancio. E spesso neppure quello. Scelte analoghe fanno le radio nazionali. Per non parlare dei social, quasi indifferenti al conflitto.
La crisi del governo Draghi, le elezioni anticipate a settembre e l’orribile scia di una cronaca nera senza precedenti hanno preso il sopravvento e conquistato spazio nei titoli principali. Con un sincronismo che la dice lunga sull’omologazione progressiva della grande informazione. La stessa che, soprattutto nei primi cento giorni di guerra, ha meritevolmente investito enormi risorse informative, per poi ritrarsi gradualmente nel recinto della politica, dell’economia e della cronaca nera più truculenta.
Per carità, nessuna intenzione di fare la morale o dare lezioni, ma le cose stanno così e
ciò che davvero è importante è non dimenticare di tenere i riflettori accesi sull’Ucraina e sulle sue sofferenze.
C’è un popolo intero che da mesi (ormai oltre 160 giorni) vive sotto le bombe e oltre dieci milioni di ucraini, secondo l’Onu, hanno lasciato il Paese dall’inizio della guerra. I morti non si contano, da una parte e dell’altra. La propaganda di guerra riferisce perdite spaventose fra i soldati russi (oltre 40mila) e certamente sul versante ucraino le vittime sono numerosissime. Se diamo affidamento alle parole del leader ucraino Zelensky, i soldati di Kiev che muoiono ogni giorno sono fra i 120 e i 200. Un numero altissimo, senza contare le vittime civili di cui ogni tanto ci sorprendiamo, per la scoperta di una fossa comune o per il ritrovamento di corpi senza vita sotto le macerie dei bombardamenti.
Perché, dunque, insistere, su questi dati? Perché la guerra non è finita, la pace è lontanissima e le trattative diplomatiche sono in totale stallo.
E certamente non conforta l’ennesima posizione di forza espressa da Putin quando ha fatto trapelare di essere disposto ad “una soluzione negoziale, ma alle condizioni di Mosca”. Il che è come infilare un dito negli occhi di Zelensky e di tutti i suoi alleati occidentali, Italia compresa.
Eppure, proprio per tutte queste ragioni,
fa bene Papa Francesco a non perdere occasione per ricordare al mondo intero l’orrore di questa guerra, così come la necessità di costruire la pace.
E lo fa mentre i “potenti” del mondo restano silenti e forse lasciano che le parti in campo consumino tutto il loro potenziale bellico. E pazienza se con le armi si bruciano migliaia, decine di migliaia di vite; se con la violenza cieca si distruggono intere aree del Paese aggredito; se non si riescono a costruire neppure canali sotterranei di dialogo.
È la lezione del cinismo che la Storia ha ben conosciuto. Ecco perché è un bene assoluto che il Papa continui a levare alta la sua voce contro la guerra, ogni guerra. E che i credenti, anche attraverso i propri media, continuino a tenere accesi i riflettori sulla prima (speriamo ultima) guerra del nuovo secolo. Ben consapevoli che è il volto dell’Europa in gioco.
Aver riportato lo spettro della guerra nel cuore del Continente, un tempo cristiano, è una responsabilità enorme dei contemporanei nei confronti delle future generazioni.
Guai se anche noi restiamo indifferenti e ci facciamo risucchiare dal vortice della banalizzazione. Magari risvegliandoci di soprassalto, un mattino, per un black out energetico causato dal blocco delle forniture di gas russo all’Europa. E allora giù commenti indignati…
Grazie, dunque, a quanti non dimenticano Kiev e le sofferenze del suo popolo.
Che non smettono di informare, non solo rendendo onore al proprio difficile mestiere, ma offrendo a tutti noi la possibilità di continuare ad avere gli occhi aperti e la coscienza avvertita sul dramma di una guerra nel nostro Continente. Cioè sulla morte e sulla vita fra gli stenti di tanti europei. Forse cristiani, sicuramente nostre sorelle e nostri fratelli.