Friday for freedom. Parlano gli studenti. Alcuni c’erano, altri no
Allo sciopero del 27 settembre alcuni studenti delle superiori hanno scelto di esserci, mentre altri hanno scelto di entrare a scuola. Ma non vuol dire che non abbiano a cuore il pianeta
Il 27 settembre la sveglia suona alla solita ora e, mentre faccio colazione, tantissimi ragazzi da tutta Italia chiamano alla radio per raccontare le loro iniziative per questo terzo sciopero mondiale per il clima. Mondiale, sì. Tra un biscotto e l’altro, penso che sia stato proprio questo a farmi risvegliare qualcosa dentro, l’idea di far parte di un movimento così grande e la voglia di far sentire la mia voce unita ad altre mille.
Allarmisti o no, quello che sta succedendo è sotto gli occhi di chiunque e, di questo passo, nel 2050 vivremo in un mondo con 4 gradi centigradi in più. Possono sembrare pochi ma, come ha detto il meteorologo Luca Mercalli, basta pensare a cosa ci succede quando la nostra temperatura corporea sale: «Con uno o due gradi in più siamo malati, con quattro o cinque si muore».
Il 15 marzo non sono scesa in piazza, mi sembrava inutile e mi chiedevo cosa possiamo effettivamente cambiare noi ragazzi; a sei mesi di distanza, mi rendo conto che, se una “ragazza con le trecce” è riuscita a smuovere gli animi di tutti noi, forse non siamo così impotenti. «Mamma, stavolta sciopero anche io».
Alle 9.30 inizia il corteo da piazzale Boschetti e la gente esce dagli uffici per guardarci, chi con disprezzo e chi pieno di fiducia. Sui nostri cartelli si legge «Più eco, meno spreco!» o «Ci avete rotto i polmoni!» o ancora «Non c’è un pianeta B, noi vogliamo questo qui!». In me è forte la speranza che venga preso qualche provvedimento concreto per la salvaguardia del pianeta, la casa che papa Francesco, nell’enciclica Laudato si’, ci ha invitato a trattare con i guanti, perché è l’unica che abbiamo e se rompiamo le sue fondamenta crollerà tutto, crolleremo noi. Per me, manifestare per l’ambiente significa difendere la vita. (Gina Palmieri)
Suona la sveglia, faccio colazione e mi vesto in un attimo. Sono in ritardo, come sempre. Potrebbe sembrare una giornata come tante altre ma non lo è. Oggi è venerdì 27 settembre e in tutto il mondo è in corso il terzo sciopero mondiale per il clima. Ovviamente anche Padova ha aderito e durante la settimana ho riflettuto a lungo: vado o non vado? C’è anche un’interrogazione, non sarebbe male prendersi un giorno di pausa...
Prendo la bici e mi dirigo verso il centro. Arrivo davanti al cancello della mia scuola, un rapido sguardo al portone d’entrata, ma non ho ripensamenti: io oggi vado a scuola. Lego la bici e mi fiondo in classe. Siamo solo una decina, «poco importa – penso – è bello che ognuno di noi possa scegliere dove andare». Io a scuola ci sono andato perché a me la manifestazione sembra un’ipocrisia: come posso scendere in strada e urlare al cambiamento quando nella mia scuola ancora non è presente la raccolta differenziata? Come posso gridare alla sensibilizzazione del governo sulle cause ambientali quando lo stesso ministro dell’istruzione ci suggerisce di prendere parte a questa manifestazione?
Questo non vuol dire che io non abbia a cuore il cambiamento climatico, anzi. Sono solo dell’idea che andare in aula a fare dibattiti, ricerche, discussioni e analisi sul clima sia il metodo migliore per ottenere un vero e duraturo impatto sulla coscienza delle persone. (Enrico Poggio)