Fra Giuseppe Michele Ghezzi, pellegrino di speranza
Giuseppe Michele Ghezzi, nato in una famiglia nobile, rinunciò agli agi per seguire San Francesco. Missionario tra la gente, fu testimone di carità e speranza. Lecce lo ricorda con celebrazioni. Numerose le testimonianze di grazie ricevute per sua intercessione. “Fra Giuseppe era il frate dell’ascolto”
Figlio dell’avvocato Ghezzi, duca di Carpignano in Salento, e della baronessa di Soleto, Giuseppe Michele Ghezzi avrebbe potuto ereditare il titolo di conte di Poggio Aquilone. Tuttavia, la sua vocazione era ben altra. Fin da piccolo condivideva le sue scarpe e il suo materasso con i poveri e saltava spesso i pasti per offrire cibo ai più bisognosi. Così, nel 1905, all’età di 33 anni, abbandonò gli agi e le ricchezze del palazzo di Lecce, in cui viveva insieme alla sua famiglia, per seguire le orme di San Francesco. Indossati saio e sandali, diventò missionario tra la gente, “sbriciolando il Vangelo di porta in porta”, come racconta il vicepostulatore della causa di beatificazione, fra Giancarlo Greco, parroco al santuario Maria SS. delle Croce a Francavilla Fontana (Br) dove fra Giuseppe Michele Ghezzi ha vissuto e operato, per un periodo, circa un secolo fa.
Venerabile dal 2000, fra Giuseppe ha lasciato una profonda impronta nella sua terra natale e nei conventi in cui ha svolto la sua missione. Luoghi che, a distanza di 70 anni dalla sua morte, lo ricorderanno con preghiere e iniziative. Si partirà domenica 9 febbraio dalla chiesa santuario Sant’Antonio a Fulgenzio di Lecce, dove riposano le sue spoglie mortali, con una solenne celebrazione eucaristica, alle ore 19, presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova e già presidente CEI. Lunedì 10, alle ore 9, è, invece, in programma un incontro di formazione permanente per la fraternità provinciale dei frati minori con fra Alessandro Mastromatteo, ministro provinciale ofm di Puglia e Molise.
Ma non solo. Per oltre un mese, dal 9 febbraio al 21 marzo, l’ultimo saio indossato da fra Giuseppe raggiungerà, in peregrinatio, monasteri e conventi delle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Nei prossimi mesi, inoltre, ci saranno serate culturali e convegni.
“Questo è un modo per far conoscere il venerabile a chi non ne aveva mai sentito parlare – spiega fra Giancarlo – e soprattutto per permettere a chi si trova in difficoltà di trovare in lui un intercessore. Fra Giuseppe era infatti il frate dell’ascolto.”
Numerose sono le testimonianze di chi gli riconosceva già la santità in vita (“È arrivato il frate santo!”, dicevano vedendolo arrivare alle porte delle loro case) e di chi, come Rita Capone, oggi 85enne, non l’aveva mai conosciuto se non in sogno. “Era circa il 1973 e padre Ghezzi mi venne in sogno[…] e mi disse queste testuali parole: se vuoi niente (qualcosa ndr.), vieni alla chiesa di Fulgenzio e chiedi di Frate Ghezzi”. Un sogno che sembrava senza senso, ma che ritornò nella mente di Rita qualche anno dopo durante la malattia del marito. Così si recò nella chiesa di Lecce e pregò fra Giuseppe affinché tenesse in vita il marito ancora per un po’. E così fu. “Ho bisogno di te. Aiutami”, tornò poi a pronunciare la donna colpita nel corso degli anni da gravi malattie. Parole semplici, ma pregne di fede, che la portarono a un’inaspettata guarigione. Lo stesso miracolo avvenne per una monaca benedettina, che guarì da una grave malattia, proprio dopo aver pregato il frate leccese.
Lo stesso Giuseppe aveva conosciuto la sofferenza fisica. In gioventù, superò un tumore osseo, che non lasciava alcuna speranza, grazie all’intercessione della Madonna di Pompei, dopo una novena recitata dalla sua madre. In seguito, come frate questuante, si dedicò a raccogliere elemosine per acquistare medicine per i bisognosi.
“Anche nella sua vita parlava di periferie, come oggi fa Papa Francesco”, afferma fra Giancarlo. “Attento alla povertà e al dolore, fra Giuseppe è stato un esempio di santità della porta accanto. Pellegrino di speranza in un periodo storico segnato dalle due guerre mondiali, ha annunciato il Vangelo di casa in casa, con grande amore. La gente attendeva il suo passaggio e lui portava il carisma di Francesco d’Assisi, utilizzando gli strumenti poveri dell’epoca. Prima di ogni visita di carità, si fermava a pregare davanti a Gesù sacramentato, e la sera, quando rientrava in convento, passava lunghe ore davanti al tabernacolo. Questo ci fa riflettere: siamo pellegrini, ma l’opera è compiuta dal Signore, che ci dona tutto e noi riportiamo a Lui i Suoi doni”.
Valeria De Simone