Federico Faggin. La coscienza prima dell’universo: dal microprocessore alla ricerca sull'anima
Federico Faggin Dall’invenzione del microprocessore alla ricerca sull’anima: «La tecnologia è più pericolosa che utile perché l’uomo non ha fatto passi avanti per saperla usare bene»
«Vuole che le parli in veneto? È la mia prima lingua, l’ho imparato da piccolo mentre ero sfollato con i miei a casa dei nonni, a Isola Vicentina». A 56 anni dal trasferimento negli Stati Uniti assieme alla moglie Elvia, Federico Faggin continua a mantenere un legame molto forte con le sue origini; mentre ci accoglie nella grande casa con vista sulla Basilica Palladiana il pensiero va a quanto questo distinto signore classe 1941, aplomb californiano e concretezza vicentina, abbia influito sulla vita di tutti noi. Era il 15 novembre 1971 quando Intel presentò il 4004, il primo microprocessore nella storia, concepito proprio dal geniale fisico italiano (laureato con lode a Padova). Era l’inizio dell’era del silicio e del mito della Silicon Valley, ma anche di un percorso scientifico e professionale che in seguito, lo avrebbe portato a fondare Synaptic, prima azienda a produrre le touchpad, oggi in uso su tutti i computer portatili, e i touchscreen, dispositivi che avrebbero ispirato l’iPhone a un certo Steve Jobs. Microchip e schermo: il cuore e la pelle dello smartphone con cui stiamo registrando quest’intervista. Tanta roba davvero. Da oltre 35 anni però Faggin si occupa di altre questioni, riguardanti soprattutto le origini della coscienza e i rapporti tra scienza e spiritualità. A questi temi è dedicato il suo ultimo libro, Oltre l’invisibile, nel quale espone una visione della realtà che, pur rimanendo rigorosa, cerca di andare al di là del materialismo imperante (non solo nella comunità scientifica). «Bisogna partire da un principio fondamentale: oltre a un’esteriorità abbiamo anche un’interiorità – spiega Faggin – Per la fisica, per quella classica come per la quantistica, esiste solo ciò che è misurabile nello spaziotempo: questo, però, non può portare al paradosso di negare fenomeni come quelli della coscienza e della libertà, che sono anzi il fondamento di tutto». Attualmente non c’è una teoria che unifichi fisica quantistica e tradizionale, che giustifichi cioè il passaggio dal campo quantistico alla realtà come la percepiamo – continua lo scienziato e inventore – Un collegamento che invece può essere ravvisato proprio nel libero arbitrio: è il campo stesso a scegliere in qualche modo come manifestarsi». In questa visione il reale deriverebbe insomma da una serie di scelte libere e coscienti messe in atto da un essere dinamico e olistico – chiamato significativamente Uno – che lo utilizza proprio per esplorare le sue infinite possibilità e per conoscersi. Una teoria che Faggin sta sviluppando assieme a Giacomo Mauro D’Ariano, professore di fisica teorica all’Università di Pavia, secondo la quale – scrive Faggin in Oltre l’invisibile – «la coscienza esiste in una realtà più vasta, che contiene lo spazio-tempo e la materia-energia. La coscienza, quindi, viene prima del cervello. E viene anche prima dell’universo come finora è stato immaginato dai fisici».
Una visione in cui non è difficile percepire echi di filosofi e autori passati e contemporanei, da Parmenide a Michael Talbot, passando per Cartesio e l’idealismo tedesco, ma che ha la caratteristica di porsi come teoria scientifica, facendo storcere il naso a più di qualche studioso. Federico Faggin tira comunque dritto per la sua strada, puntando il dito sull’elefante nella stanza: la questione dell’origine e della natura della coscienza; dell’anima, volendo usare un termine oggi non più di moda. Questione che per molti scienziati non ha nemmeno senso, ma che si pone nella vita di ognuno e che oggi, con l’esplosione dell’Ai e di ChatGpt, appare ancora più urgente per definire ciò che è umano da ciò che non lo è. «La scienza oggi ci induce a pensare che siamo così insignificanti da essere macchine – scrive ancora l’autore nel suo ultimo libro – Invece di lasciarci indottrinare cerchiamo piuttosto di capire chi siamo». «Materialismo e riduzionismo scientifico permettono di fare progressi soprattutto nel campo della tecnologia, non necessariamente in quelli dell’etica e della coscienza sociale – chiosa Faggin – Per questo, a mio avviso, oggi la tecnologia è più pericolosa che utile, proprio perché l’uomo non ha fatto i necessari passi avanti per imparare a usarla bene. Essa può promuovere la pace come la guerra, ma nasce quasi sempre da un bisogno utilitaristico e rischia di mettere strumenti sempre più potenti in mano di chi vuole comandare e sopraffare».
Parole che possono risultare strane sulla bocca di uno dei padri dell’epoca in cui viviamo: come si passa dai chip e dai computer alle grandi domande che investono il significato dell’esistenza? «A un certo punto mi sono reso conto che, malgrado il successo e il denaro, ero tutt’altro che felice. Avevo abbracciato una prospettiva materialista e riduzionista senza aver cura di me stesso e della mia interiorità, per questo mi mancava sempre qualcosa». È in questo periodo, precisamente nel 1990, che Faggin vive quello che lui chiama “risveglio”: «L’esperienza più potente che io abbia mai vissuto – scrive in Oltre l’invisibile – e della cui autenticità mi è impossibile dubitare, così come non posso dubitare del fatto che esisto». Nascono così gli studi su coscienza e spiritualità, che nel 2011 avrebbero portato alla costituzione della Federico & Elvia Faggin Foundation, con l’obiettivo di sostenere programmi di ricerca su queste tematiche presso università e istituti scientifici. Un percorso lungo e a tratti sofferto, ma che oggi permette a Federico Faggin di vivere quella serenità che un tempo gli mancava. «In queste settimane farò 80 tra conferenze e interviste, andando da Udine a Palermo: chi crede che mi dia tutta questa energia a quasi 83 anni? La voglia di andare a fondo, la gioia sempre più profonda di capire e di comunicare con gli altri. Quarant’anni fa la mia mente era sempre rivolta a quello che avrei fatto dopo, oggi sono a mio agio con me stesso. A casa, finalmente».