È finito il tempo dei no-vax. Le istituzioni devono essere risolute come non mai
Minacce, offese, appostamenti, lettere anonime e bossoli di proiettili in casa o nello studio professionale. Gli scienziati continuano a rimanere nel mirino di no vax ideologizzati, nel pieno della quarta ondata pandemica e gli ultimi casi toccano proprio la città di Padova.
L’ultimo risale appena a lunedì scorso e riguarda Giorgio Palù, presidente dell’Aifa ed emerito di Virologia all’ateneo patavino. Il 4 gennaio era toccato ad Antonella Viola, direttrice scientifica della Città della speranza. Che cosa si nasconde dietro comportamenti criminali come questi? Espressioni come «galassia no-vax» o «variegato mondo no-vax» si moltiplicano in tv e nei quotidiani. Tradotto: se ne parla talmente tanto da provocare rigetto in spettatori e lettori. Però qualcosa di vero c’è. Non tutto è ideologia, negazionismo, opposizione pura. Accanto alle storie tragiche di chi soccombe al virus per non cedere all’iniezione (da incubo il racconto della famiglia spazzata via nel Torinese, unica superstite una madre non più giovane), i dati sulle prime dosi confermano che il numero degli esitanti, anche tra gli sportivi di professione, è alto e scende a mano a mano che le misure governative stringono il cerchio verso un obbligo vaccinale dichiarato o di fatto.
In altre parole, ci sono almeno due tipi di non vaccinati: i convinti e gli impauriti (dal vaccino). Difficile dire da quale parte arrivino minacce come quelle giunte agli specialisti padovani (a cui va tutta la nostra solidarietà). Il comportamento dei primi tuttavia è intollerabile: il prefetto di Padova Raffaele Grassi, proprio lunedì scorso ha reso noto come la strategia delle centinaia di piccoli gruppi no-vax del Padovano abbia abbandonato cortei e manifestazioni per passare all’azione contro hub vaccinali e centri sanitari. La guerriglia impegna le forze dell’ordine in controlli extra e suggerisce l’idea che la pandemia sia solo un evento creato ad arte, chissà per quali fini politici, economici, sociali, al punto che chi lavora per superarlo viene visto, invece, come un pericoloso nemico da combattere. Follia allo stato puro che non può essere tollerata oltre: la tolleranza zero nel far rispettare le regole non è mai stata caratteristica del nostro Paese, ma c’è sempre una prima volta, e oggi le istituzioni hanno il compito di manifestarsi risolute come mai prima d’ora.
Il secondo tipo di no-vax, quelli in preda alla paura, oggi magari più per figli e nipoti che per sé stessi, vanno compresi e accompagnati. Eppure un limite esiste anche in questo caso. Dopo due anni di pandemia e uno di campagna vaccinale, c’è ancora ragione di temere? Nei primi dieci mesi di vaccinazione i casi avversi sono stati 101 mila su 84 milioni di dosi, per l’85 per cento non gravi (fonte; Aifa). Per il resto il vaccino non impedisce di positivizzarsi, ma il confronto tra prima e quarta ondata non lascia spazio a dubbi: se oggi parliamo di distinguere tra positivi e malati, di rivedere i criteri con cui si applica la Dad nelle scuole, e se i contatti di positivi con tre dosi possono uscire e non osservare la quarantena (seppure con la mascherina) è esclusivamente effetto della campagna vaccinale in corso.
L’immunizzazione evita con grandissima probabilità la malattia severa, rendendo per lo più innocuo il virus. Quel che non torna, semmai, è la gestione di questa quarta ondata. Nelle scuole venete regna il caos, principalmente perché i Servizi di igiene e sanità pubblica (Sisp) non reggono l’urto della burocrazia da sbrigare: ci sono classi che ricevono la segnalazione di un caso positivo quando la quarantena è praticamente finita. La mole di chiamate per informazioni si sta scaricando sui medici di famiglia, con l’effetto che i pazienti (quelli cronici che stanno pagando prezzi salatissimi alla pandemia, pur non avendo contratto il Covid) faticano a prendere la linea anche solo per una ricetta.
Ci si chiede come mai, in due anni i servizi non siano stati potenziati (almeno nella parte amministrativa dove non serve personale sanitario) e non siano state create, a livello di singole Ulss, delle linee telefoniche ad hoc per rispondere ai dubbi sul Covid. Misure come queste avrebbero aiutato ad abbassare la tensione sociale e, chissà, magari anche a evitare lettere minatorie con tanto di proiettile.