Covid e povertà, “la pandemia ha accelerato tendenze già in atto”

Tra le conseguenze dell’emergenza sanitaria, l’emersione di una nuova fascia di persone in difficoltà che non avevano mai chiesto aiuto, “ma vivevano appese a un filo”. A Bologna, in un convegno promosso da Cefa, istituzioni, grande distribuzione e realtà cittadine si sono confrontate sul tema “Covid e nuove povertà”

Covid e povertà, “la pandemia ha accelerato tendenze già in atto”

Quando si parla di nuove povertà alimentari che cosa si intende? Per rispondere, Cefa il Seme della Solidarietà, organizzazione non governativa che da 45 anni lavora per vincere fame e povertà, ha realizzato il convegno “Covid e nuove povertà”, all’interno dell’iniziativa “Riempi il piatto vuoto”. Dalla grande distribuzione alle mense cittadini, senza dimenticare uno sguardo sulla situazione mondiale. In città, delle 11mila famiglie che dall’inizio della pandemia hanno richiesto i buoni spesa del Comune, solo il 24 per cento era già noto ai servizi sociali. “L’emergenza sanitaria ha fatto emergere un universo inedito di povertà: migliaia di famiglie e singoli che contavano su lavori precari e intermittenti si trovano oggi in uno stato di sofferenza. Il cibo è la prima urgenza insieme al lavoro”, hanno denunciato i relatori.

“Non si esce da soli da questa situazione – ha spiegato Stefano Dalmonte, presidente del Banco alimentare in Emilia-Romagna, che per la prima volta distribuirà 20 milioni di pasti gratuiti in regione –. Dal lockdown non ci siamo mai fermati, decisione dettata anche dalla convinzione che l’esempio sia una forma di insegnamento. Vedere qualcuno in azione ti dà la spinta per seguire il suo esempio”. “La pandemia ha accelerato tendenze già in atto, colpendo quella popolazione che viveva appesa a un filo – ha sottolineato Giuliano Barigazzi, assessore alla sanità e welfare del Comune di Bologna, assicurando il massimo sforzo, nei prossimi mesi, per la creazione di nuovi empori e di un fondo di comunità: “Dobbiamo abituarci a stare insieme e governare insieme i processi. Lavoriamo per un nuovo sistema di welfare basato sulla collaborazione tra pubblico, privato, associazionismo e terzo settore”.

Come il Banco Alimentare, anche le mense cittadine non hanno mai chiuso. Anzi, si sono dovute riorganizzare sia nella gestione dei volontari, sia nella distribuzione di un numero sempre crescente di pasti. “Inizialmente, il Covid-19 ha causato la completa assenza del mondo del volontariato, ma la mensa non ha chiuso – ha ricordato don Davide Marcheselli, presidente della Fondazione San Petronio –. Sottolineo con piacere che, quando il lockdown è finito, tutti i volontari sono tornati. È stato un ritorno voluto, insistito e desiderato”. Tra le proposte avanzate da don Marcheselli, la creazione di un coordinamento, di una cabina di regia e di un centro di raccolta comune, per rendere più organica e capillare la distribuzione dei pasti.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Giovanni Melli, presidente delle Cucine Popolari, che ha invitato le istituzioni nel prosieguo della costruzione di una rete, “di cui è già stata messa la pietra d’angolo. Dobbiamo alzare un nostro ‘Mose’ rispetto all’acqua alta della crisi che sta per arrivare”. Quando al progetto singolo, “la pandemia lo ha sconvolto. Il cibo era occasione per intessere relazioni e il Covid ha travolto questo proposito. C’è bisogno di rileggere i nostri obiettivi e cercare di nuovo la socialità”.

“Quando tutto è iniziato abbiamo avuto paura, perché per noi la mensa è solo un primo passo e il vero obiettivo è la relazione e il contatto con chi ha bisogno – ha ammesso fra Gianpaolo Cavalli, direttore dell’Antoniano –. La situazione emergenziale ci ha costretti a reinventarci e trovare nuove soluzioni”. Secondo Cavalli, il futuro si costruirà solo insieme, senza l’ambizione di avere tutte le risposte in tasca: “La città di Bologna deve pensare a luoghi per tutti, non solo per i poveri. Finché si pensa a posti per poveri si rimane nell’immediatezza, mentre se si creano luoghi per stare tutti insieme, senza distinzione di reddito né di provenienza, si crea una visione”.

“L’emergenza sanitaria ha messo in luce un altro contagio, dando luogo a una nuova platea, sempre più ampia, di persone che cominciavano ad avere bisogno di aiuto, ma che prima di allora non l’avevano mai chiesto”. Simona Cocina della comunità di San’Egidio è tornata ai primi mesi dell’emergenza sanitaria: “Quando le piccole reti di aiuto, come i bar, sono venute meno, abbiamo capito quanto i piccoli gesti possano essere utili per trarre in salvo le persone. Ma non dimentichiamo che, durante il lockdown, hanno sofferto molto anche i senza dimora, a cui abbiamo consegnato direttamente i pasti”.

Don Matteo Prosperini, direttore di Caritas Bologna, ha evidenziato la sinergia nata con le altre realtà locali: “Il Covid ci ha costretto al confronto. Non ci siamo mai visti tanto spesso come in questi mesi. Se abbiamo avuto paura di non farcela? Sì. Ma siamo qui a raccontare un processo di fatica che ci sta facendo crescere e ci sta dando una grande lezione. Non possiamo guardare il nostro ombelico, non è la nostra filosofia e non è la nostra storia”.

Dalle mense cittadine, alla grande distribuzione, con l’intervento di Mario Cifiello, presidente di Coop Alleanza 3.0. “La pandemia ha avuto effetti significativi sugli stili di consumo. Ma se è vero che rileviamo una forte attenzione alla convenienza, nei consumi degli italiani resta altissima l’attenzione alla qualità degli alimenti, alle produzioni italiane e, soprattutto, locali. Dai dati in nostro possesso emerge che siamo di fronte a un mondo preoccupato, ma pieno di valori”. L’invito è a cogliere questa pandemia anche come un’opportunità per cambiare in meglio gli stili di consumo, di acquisto e di vita.

Ma se questa emergenza sanitaria, vista da qui, rende incerto il futuro di tutti, in Africa come in America Latina una certezza c’è già: di sicuro ci sarà bisogno di cibo. “Non è ancora superata la crisi sanitaria che già si affaccia quella alimentare – ha spiegato Alice Fanti dell’ufficio progetti di Cefa onlus –. Noi siamo sempre in campo per aiutare le famiglie contadine, le più povere. Grazie alla formazione agricola, collaboriamo per creare un vero sviluppo economico e sociale e costruire le condizioni affinché le persone vivano della propria terra e nella propria terra”. Nelle zone di intervento di Cefa si è constatato che “gli effetti che il Covid-19 ha avuto sono stati deflagranti in situazione già compromesse. Molte persone che vivono di lavoro informale hanno visto sparire le piccole entrate su cui potevamo contare. La pandemia ha accelerato dinamiche già in atto”. La necessità di affrontare gli effetti devastanti dell’emergenza sanitaria ha costretto il Cefa a rivedere il proprio modo di lavorare, obbligando i volontari e gli operatori a impegnarsi in attività di emergenza, “insolite per la nostra organizzazione. Lo abbiamo fatto perché conosciamo quei territori”. Infine, un appello: “Abbiamo bisogno di idee, di sostegno e di persone preparate che decidano di partire”.

Ambra Notari

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)